“La donna, oggi, può vigilare affinché il suo stipendio sia uguale a quello di un uomo, ma non sentirsi traumatizzata per tutta la vita se qualcuno le si struscia contro nella metropolitana”.
Sono parole della lettera aperta di Caterine Deneuve e altre novantanove firmatarie pubblicata su Le Monde, dal titolo: “Difendiamo la libertà di importunare”. La libertà di molestare, importunare, è una strana libertà, giacché in qualche modo, sebbene in maniera lieve, va a ledere la libertà altrui. Inoltre: lo struscio in metropolitana o in autobus, può trasformarsi in pesante molestia qualora lo struscio non sia solo struscio e la persona oggetto d’attenzione da parte dello “strusciatore”, non gradisca per niente, ma sia costretta a subire a causa dell’affollamento del mezzo di trasporto e per altri motivi facilmente immaginabili. Ma non è di questo che volevo parlare.
Mi ha sempre fatto vergognare un po’ il ricordo di quando ero ragazzo, e in autobus stracolmi di gente mi sono trovato, non sempre per puro caso, nella situazione piacevole della quale narra il filosofo francese Edgar Morin. Trascrivo per chi non lo avesse letto: “A partire dai dodici – tredici anni cercavo il contatto di un didietro femminile, che spesso non reagiva perché condannato all’immobilità. Arrivava l’erezione e rimanevo in una voluttà mistica e muta che si strappava brutalmente quando l’adorabile didietro si liberava per uscire, o quando io stesso dovevo staccarmene per scendere alla stazione Anvers… A partire dai sedici anni osavo talvolta far scivolare la mia mano sull’emozionante didietro e cominciavo ad accarezzare. Mi fermavo se c’era un soprassalto di repulsione, continuavo se non c’era reazione. Talvolta, intravedevo un profilo femminile che decuplicava la mia emozione” (La mia Parigi, i miei ricordi, Raffello Cortina Editore, pagg. 221, 222).
Dopo aver letto, mi sono detto: se non si è vergognato lui, il grande filosofo, ed ha immortalato lo ”struscio” nel suo bel libro, perché dovrei vergognarmi io?