Trump rischia l’impeachment?

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Donald Trump (Afp)

“Let this go”, lascia perdere. E’ stato durante un colloquio a due nello Studio Ovale che Donald Trump chiese a James Comey, allora direttore dell’Fbi di insabbiare l’inchiesta su Michael Flynn, il consigliere per la Sicurezza Nazionale che aveva appena lasciato la Casa Bianca dopo che erano emersi sospetti sulla natura dei colloqui avuti con l’ambasciatore russo a Washington. E’ per questo il motivo che potrebbe configurarsi il reato di ostruzione o ostacolo della giustizia, e che farebbe rischiare a Trump l’impeachment, ossia la messa in stato di accusa del presidente dichiarata dalla Camera e votata dal Senato, e che in caso di condanna prevede la rimozione dall’incarico. Ma quante probabilità ci sono che nei confronti di Trump venga avviata la procedura dell’impeachment? Poche, in effetti.

Russiagate, ex capo dell’Fbi nominato procuratore speciale

Nonostante si tratti della stessa accusa che nel 1974 costrinse Richard Nixon alle dimissioni per lo scandalo del Watergate (avvenute prima che la procedura venisse formalmente avviata), non è mai accaduto nella storia americana che un presidente venisse deposto tramite questo procedimento. Solo in due casi venne invocato l’istituto: nel 1868 nei confronti del repubblicano Andrew Johnson e nel 1999 per Bill Clinton. Quest’ultimo subì l’impeachment per aver mentito sulla sua relazione con Monica Lewinsky (uno dei capi d’imputazione fu lo spergiuro), e per aver ostacolato la giustizia.

Stessa imputazione che fa ora tremare la Casa Bianca. Se è vero che Trump ha cercato di condizionare Comey per insabbiare l’inchiesta su Flynn, per lui potrebbe aprirsi la procedura dell’impeachement. Di quell’incontro, Comey ha scritto un memorandum con l’intento di documentare quello che considerava un improprio tentativo di influenzare l’inchiesta in corso. La Casa Bianca ha smentito la notizia e il contenuto del memo, che è stato poi pubblicato da altri media, affermando che non è “un veritiero o accurato resoconto di quella conversazione”. Trump, si legge nel comunicato della Casa Bianca, “espresse più volte la sua opinione che il generale Flynn sia una brava persona” ma “non ha mai chiesto a Mr Comey né a nessun altro di chiudere nessuna inchiesta, compresa quella che coinvolge il generale Flynn”.

Intanto sui media americani si moltiplicano i pareri di esperti legali a riguardo. “E’ definitivamente un caso di ostruzione“, ha detto al ‘Washington Post’ Barak Cohen, ex procuratore federale che però avvisa che “bisogna ricordare che la chiave di tutto è l’intento, e questo sarà difficile da provare”. Infatti le leggi che sanzionano l’intralcio della giustizia richiedono che venga provato che una persona abbia cercato “in modo corrotto” di influenzare un’inchiesta. Nel caso di Trump, quindi, gli inquirenti dovrebbero trovare prove del fatto che il presidente intendeva effettivamente “ostacolare, influenzare o impedire” l’inchiesta su Mike Flynn quando disse a Comey che sperava che trovasse una via per lasciarla cadere. In questo quadro sarebbe essenziale, spiegano ancora gli esperti, l’analisi dettagliata di quel colloquio e anche le deposizioni di consiglieri di Trump che, all’epoca dei fatti, potevano essere stati informati di quello che intendeva fare il presidente.

Il memorandum ha fatto scoppiare una vera e propria bufera, quando ancora non si era placata quella provocata dalla rivelazione che Trump, durante il colloquio con Sergei Lavrov, ha condiviso informazioni top secret, ottenute da un Paese alleato che si ritiene sia Israele, sullo Stato Islamico. Rivelazioni che potrebbero rappresentare un’ulteriore minaccia alla presidenza Trump.

I giuristi ricordano poi che anche il licenziamento di Comey, che Trump aveva tutto il diritto di ordinare, potrebbe essere considerato parte dell’intralcio alla giustizia se verrà provato l’intento di insabbiare. Se gli esperti legali sono molto cauti nell’indicare il tortuoso percorso necessario a provare un crimine difficile da verificare, ovviamente diversi i toni dell’opposizione democratica che parlano ormai di impeachment.

Infine, esiste una particolare alternativa, prevista dalla Costituzione americana. Si tratta del 25esimo emendamento, entrato a far parte della Costituzione nel 1967. Questo emendamento prevede che la maggioranza dei funzionari del governo e il vicepresidente possano inviare al presidente del Senato e allo speaker della Camera una dichiarazione nella quale si sostiene che il presidente non è più in grado di esercitare i suoi doveri e compiti. A quel punto, i suoi poteri andrebbero nelle mani del vicepresidente.

Se tuttavia, il presidente replica dichiarando di essere in grado di esercitare le sue funzioni, può riprendere il suo incarico. A quel punto spetta al vice e agli altri funzionari insistere per ribadire quanto già affermato. E’ in questo momento che il Congresso è chiamato a pronunciarsi. Se i 2/3 del Congresso confermano che il Presidente non è più in grado di esercitare i suoi poteri e doveri, la guida del Paese viene affidata al vicepresidente. Ma entrambe le ipotesi, impeachment e 25esimo emendamento, nel caso di Trump risultano quanto mai improbabili. O almeno sulla carta, dal momento che i repubblicani hanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Inoltre, la vicenda di Clinton, rinviato a giudizio dalla Camera repubblicana e poi assolto dal Senato democratico, insegna che questi standard spesso dipendono da convenienze politiche.

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