A proposito di traffici di materiali nucleari

Attualità & Cronaca

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TRIESTE – All’inizio degli anni Novanta, allorché comandavo il GICO- Gruppo Investigativo per la Criminalità Organizzata per il Friuli Venezia Giulia, presso il Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Trieste, ebbi modo, con i dipendenti che allora dirigevo, di occuparmi di un caso relativo a traffici di materiale nucleare dalla ex Unione Sovietica.

La vicenda, che ebbe ripercussione anche sui mass media dell’epoca, fu ampiamente documentata, a suo tempo, e non è dunque di questo che intendo qui fare oggetto di trattazione, bensì di una appendice successiva, verificatasi verso la metà degli anni Novanta, quando da poco avevo lasciato, a domanda, il servizio attivo, e che a suo tempo non ebbe, a mio parere, adeguata trattazione. Essendo ormai trascorsi oltre venti anni da allora, potendo l’evento essere considerato per ciò “argomento di valenza storica” nel senso cronologico del termine, ritengo sia il caso di ritornare un momento sullo stesso per focalizzarvi qualche punto rilevante ed enigmatico.

Un giorno, dunque, fui inaspettatamente contattato dalla presidente di un ente culturale alla sede di Trieste, la quale, chiestomi un colloquio, così si espresse: essendo la loro associazione in difficoltà finanziaria (chiuse, infatti, la sua attività negli anni successivi) un loro referente d’oltre confine, cittadino di uno dei paesi della ex “oltre cortina”, aveva fatto la seguente proposta: egli, per conto di un “combinat” russo, aveva in corso vendita di un materiale nucleare (uranio) verso l’occidente, e, per questo, si serviva di mediatori svizzeri al fine di piazzare le partite di quella merce; le provvigioni erano molto alte. Se loro avessero voluto subentrare nell’attività suddetta, la cosa avrebbe, forse, potuto risolvere i problemi finanziari della loro associazione. La cosa che mi chiedeva la presidentessa, evidentemente poco pratica di queste cose, era questa: cosa avrebbe dovuto fare per mettersi in regola in materia di licenze, nel nostro Paese, per svolgere, secondo la legge, tale attività? Alquanto sbalordito, spiegai che la cosa non poteva essere condotta in questi termini, legalmente, ma andava segnalata a chi di dovere, cosa che la stessa fece, ritengo, presso gli organi giudiziari.

Mi disinteressai dunque della vicenda suddetta, ma, diverso tempo dopo, ebbi modo, in una pubblica occasione, di citare il caso, nel pieno rispetto totale dell’anonimato degli interessati alla vicenda. Fui però di nuovo contattato dalla ormai ex presidentessa, la quale, con qualche fastidio, mi invitava al silenzio successivo sulla vicenda stessa, a causa dei numerosi problemi che, in seguito alla sua segnalazione, era stata costretta ad affrontare, cosa che, naturalmente, feci fino ad ora. La cosa, però, pone a mio parere, qualche domanda, specie ora che il problema del materiale nucleare è di nuovo all’ordine del giorno: una persona di specchiata rettitudine e di totale buona fede, come era la presidentessa suddetta, quale situazione fastidiosa può dover affrontare per aver segnalato all’autorità competente un caso di estrema delicatezza in cui si è accidentalmente imbattuta? E perché deve avere fastidi se si rivolge alle autorità competenti? E fastidi di che tipo? Ma, soprattutto, possibile che negli anni post URSS si sia aperto, nel cuore dell’Europa, libero mercato incontrollato di materiale nucleare? E quali effetti ha avuto tale mercato? Insomma, ora, a livello storico, e dato anche che esiste una Commissione Parlamentare sull’argomento, qualche domanda può essere riproposta e qualche risposta, forse, potrebbe essere data; ma personalmente non ci conto molto nelle effettive risposte alle suddette domande. Il caso, in effetti, riguarda cose di tale interesse da essere sottratte al controllo della pubblica opinione, come tanti aspetti essenziali delle stragi di Stato.

Ma questa è soltanto la mia opinione. Comunque, quel caso si verificò, esattamente come ho qui sopra riferito, “et de hoc satis”, per quanto mi riguarda. Ecco, comunque, per esempio, quello che di recente ho letto sul libro intitolato “Il Giudice”, scritto dal magistrato Carlo Palermo nel 1997 (Edizioni Reverdito): “Il vice presidente russo Alexander Rutskoy, al Parlamento russo, aveva detto, fornendo anche dettagli, che se si fosse indagato a fondo sullo scandalo del Mercurio Rosso, il “red mercury”, ci sarebbe stato più clamore dei processi italiani su Tangentopoli. Il Mercurio Rosso, sostanza utile per la realizzazione della bomba al neutrone, ormai transitava attraverso alcune zone dell’Europa occidentale e poi dirottato in Iran, Pakistan, Israele, India”. Proprio di questo materiale il mio reparto stava occupandosi agli inizi degli anni Novanta, ma quelle vicende sono già state trattate all’epoca sui mass media.

Vincenzo Cerceo – Colonnello in congedo della Guardia di Finanza

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