Diritti dei detenuti. Sempre il peggio all’Italia

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Non dev’essere consegnato al Paese d’origine lo straniero se non gli viene garantito un trattamento “umano”. Dopo la sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulle condizioni di detenzione in Romania, le corti territoriali devono vagliare puntualmente se il condannato rischia trattamenti disumani e degradanti una volta estradato, specie se può finire in una delle carceri della lista nera della CEDU. In caso contrario deve rimanere in Italia

Altra bocciatura per una corte territoriale in tema di mandato d’arresto europeo e consegna al paese d’origine che continuerà a far discutere anche una parte dell’opinione pubblica italiana che in preda ad un’ingiustificata ondata xenofoba, quando si tratta di stranieri, è troppo spesso pronta a metter da parte i diritti umani delle persone che invece devono essere tutelati ad ogni costo. Anche questa volta è la Corte d’appello di Torino a veder riconosciuta l’illegittimità della propria decisione relativa alla consegna di un cittadino romeno condannato ripetutamente per furto ed oggetto di un mandato d’arresto europeo esecutivo.

La Cassazione penale con la sentenza 39865/17, è, infatti, tornata nuovamente sulla questione facendo esplicito riferimento alla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. 4, Rezmives ed altri contro-Romania del 25 aprile 2017, che, esaminando le condizioni detentive esistenti presso una serie di istituti penitenziari rumeni, ha ribadito che il divieto imposto dall’art. 3 della Convenzione EDU, consacra uno dei valori fondamentali ed inderogabili delle società democratiche, legato al rispetto della dignità umana. Ed arriva a questa conclusione: non può essere consegnato al Paese d’origine per le condizioni inumane delle sue carceri se non viene effettuata una puntuale verifica delle condizioni cui effettivamente verrà sottoposto il detenuto. In tale ottica, la conseguenza è che non si può completare l’iter del mandato d’arresto Ue anche a carico del pluricondannato per furto se l’ufficio dell’esecuzione penale romeno non garantisce che il penitenziario in cui verrà destinato il consegnando sia “vivibile” e non rientri in una delle strutture della black list indicata nella sentenza “Rezmives” che elenca le prigioni locali a rischio: buie, senza servizi igienici separati e invase da topi e insetti.

Nella fattispecie giunta all’attenzione dei giudici della Suprema Corte, è stato accolto il ricorso proposto personalmente dall’interessato. La Corte d’appello di Torino aveva erroneamente ritenuto, solo sulla base delle informazioni acquisite direttamente dal tribunale di sorveglianza rumenp, che sussistessero le condizioni della consegna, perché non vi erano documenti che attestassero il reale radicamento del cittadino romeno in Italia. Rilevano, al contrario gli ermellini che la nota di rassicurazioni, «recepita nella sentenza della Corte di appello in verifica, è tuttavia priva di specificità con riguardo al calcolo degli spazi, se effettuato al netto o al lordo di arredi fissi e del locale bagno, dei tempi e luoghi degli spostamento consentiti ai soggetti ristretti all’interno della struttura detentiva della protrazione oraria dell’apertura delle celle collettive, delle concrete caratteristiche e della frequenza delle operazioni di disinfestazione da parassiti. Nel caso in esame tale carenze non possono essere superate in base al principio di affidamento, attesa la recente sentenza pilota della Corte EDU».

Tale decisione, ricordano i giudici di legittimità «Ha quindi accertato l’esistenza negli istituti penitenziari specificamente considerati di condizioni di sovraffollamento carcerario, in contrasto con i principi di cui all’art. 3 della Convenzione, non compensate da altri fattori positivi, ma anzi aggravate da ulteriori carenze a ragione dell’assenza di luce naturale, della durata molto breve dell’ «ora d’aria», dell’insalubrità dei servizi igienici, talvolta privi di separazione, dell’assenza di attività socioculturali, della disponibilità insufficiente all’acqua calda, dell’assenza di areazione delle celle, della presenza di insetti e topi, della vetustà dei materassi, della cattiva qualità dell’alimentazione. Tanto è sufficiente per dubitare del fatto che le condizioni materiali della struttura carceraria di iniziale destinazione del ricorrente, oggetto di valutazione negativa da parte della Corte EDU nella sentenza citata, siano migliori di quanto specificamente lamentato dal ricorrente nell’impugnazione.

Oltre a ciò, l’indicazione dei successivi luoghi di esecuzione della pena, specificati solo in via orientativa, come verosimile, non consente di escludere la possibilità che il ricorrente sia destinato ad uno degli istituti penitenziari tra quelli indicati nella citata sentenza “Rezmives ed altri” —Gherla, Aiud, Oradea, Craiova, Târgu-Jiu, Pelendava, Rahova, Tulcea, Iasi e Vaslui, già oggetto di precedenti richiamati analoghi pronunciamenti della stessa Corte EDU, come luoghi di espiazione in situazioni integranti violazione dell’art. 3 CEDU e nega l’avvenuta acquisizione di informazioni “individualizzate” e certe, che offrano precise rassicurazioni sui luoghi e sulle modalità di futura espiazione della detenzione.»

                                                                                                                                                                     

Giovanni D’AGATA                                         

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