A Mosca oltre 20 mila persone sono state evacuate per una serie di allarmi bomba lanciati quasi contemporaneamente e che riguardano una trentina di edifici, tra centri commerciali, stazioni ferroviarie e università.

La polizia russa è stata impegnata diverse ore in una vasta operazione per verificare la veridicità delle minacce, ma non ha trovato nessun ordigno. Secondo una fonte anonima, riportata dall’agenzia di stampa russa Tass, potrebbe trattarsi di “terrorismo telefonico”, ovvero di una serie di falsi allarmi con l’obiettivo di creare il panico.

I falsi allarmi però, potrebbero mettere sulla graticola la reputazione di Putin, che è considerato il “presidente della sicurezza”.
Potrebbe essere stato attaccato uno spaventapasseri, niente sangue, solo turbinio, commenti e tante segnalazioni media, ma in realtà per il Cremlino è politicamente più pericoloso di un attacco reale.
Dopo tutto, è molto facile lanciare questo tipo di campagna, invece diventa molto difficile – ma non impossibile – smascherare i responsabili, specialmente quando qualcuno ha il know-how tecnico per nascondere la propria posizione e l’indirizzo IP usando la telefonia internet.

Potrebbero essere gli ucraini che agiscono per conto proprio, una controparte di Maidan, hacker “con spinte patriottiche”, che Putin convenientemente accusa per ogni attacco cyber in Occidente.
Potrebbe essere il terrorismo domestico, che cerca di diffondere confusione o di capire le eventuali risposte prima di un attacco vero e proprio. Potrebbe essere una riproduzione vocale, messaggi pre-registrati, o sistemi di digitazione automatica; francamente, potrebbe essere qualunque cosa che ha una connessione ad Internet.

A un livello normale, non è altro che un fastidio, un altro fattore irritante della moderna quotidianità, come uno che aggiunge spam alla posta in arrivo; ma ha un significato più ampio.
Innanzitutto, testa la resilienza del popolo russo alle sfide del terrore. Il moderno anti-terrorismo dipende da ogni tipo di soluzioni tecnologiche, dal software di riconoscimento del viso, agli infiltrati nascosti; ma forse gli strumenti più potenti sono ancora quelli familiari: una popolazione vigile che segnala se vede qualcosa, una risposta rapida agli avvisi e le istruzioni delle autorità.

Se la risposta diventerà blasé, supponiamo che ogni sacca lasciata sulla metropolitana venga spiegata come un qualcosa di cui non c’è da preoccuparsi, che ogni allarme è solo un buco nell’acqua, allora il paese diventa molto vulnerabile.
La Russia, particolarmente in considerazione dell’attuale impegno in Siria – una cosa che non finirà molto presto – è sempre più considerata come un bersaglio di scelta jihadista. E, anche se questo non è causa di panico o di paranoia, il paese probabilmente affronterà più minacce terroristiche.
Ma forse, più sorprendentemente, è che per Putin i falsi allarmi potrebbero risultare più problematici di quelli reali: lui è senza dubbio il “presidente della sicurezza”, la cui legittimità in larga misura poggia sul suo percepito ruolo di guardiano della Russia dalle minacce straniere e domestiche. La sua presidenza è nata in mezzo ai bombardamenti degli appartamenti del 1999.

I periodici incidenti, tra cui il recente attacco alla metropolitana di San Pietroburgo, hanno giocato sul senso comune che sia necessaria una mano forte al timone del governo; ma la corrente campagna di “allarmi”, specialmente se dovesse continuare, potrebbe rivelarsi una sfida ben poco utile per una tale giustificazione.
Innanzitutto, sta mettendo in risalto l’incompletezza e la mancanza di professionalità della sicurezza statale. Per rintracciare le fonti web o le eventuali tracce, c’è molto di più da fare del solito bussare – o abbattere – le porte dei soliti sospettati o di controllare i numeri di telefono dei centri commerciali, delle scuole, stazioni o degli aeroporti.

Se la campagna dovesse continuare, non verrà più di tanto messa in discussione la credibilità di Putin come uomo d’azione e difensore della Russia, nè lui diverrà meno rilevante; ma ciò non gli garantirà nessun risultato. Il proseguo della campagna però, anche se venissero colpiti alcuni convenienti capri espiatori, non farebbe perdere la totale attendibilità nel Cremlino, ma la metterebbe a rischio.
Naturalmente, i migliori indiziati saranno stranieri, e, anche se ipoteticamente fosse vero, questo sarebbe già un problematico punto di discussione.

Da un lato, il familiare gioco della narrazione russa che lo stato è imbrigliato in un mondo ostile, è anche un implicito riconoscimento di vulnerabilità. Il Cremlino tenterà di rovesciare le colpe su Kyiv; ma Putin vuole veramente ammettere che gli ucraini con una telefonata possono bloccare i treni e svuotare gli uffici di Mosca?
Un’altra classica tentazione è quella di mentire; già altre volte le autorità locali hanno presentato le evacuazioni come nient’altro che delle semplici esercitazioni.

Più in generale, al momento, in attesa di un autorevole comando dall’alto, i media statali stanno minimizzando l’intera campagna; eppure per le centinaia di migliaia di persone, direttamente e indirettamente colpite, gli amici, le famiglie e i compagni di lavoro a cui sono state raccontate le loro esperienze, ciò che è successo è una realtà, un qualcosa di realmente vissuto.

Le migliaia di evacuati sotto le bombe russe, sono spaventati e impauriti, ma la televisione di stato russa rimane tranquilla. Così, gestire le percezioni attraverso i media, funziona solo quando il pubblico non ha esperienze dirette per poter verificare la linea ufficiale; infatti se raccontiamo ai russi che nessun civile siriano è stato ucciso negli attacchi aerei, hanno poche basi per non crederci. Fingere che non esista una campagna di terrorismo nazionale, con quello che il portavoce presidenziale, Dmitry Peskov lo ha definito – dopo un bel poco di tempo – “terrorismo telefonico”, certamente spingerà la popolazione a chiedersi cosa sta succedendo.

Ovviamente, questo non farà cadere Putin, come non metterà a rischio la sua rielezione; ma rappresenta esattamente il tipo di sfida diffusa, bassa e sistemica che lui è poco in grado di gestire.
Che valore ha un leader di guerra, che non riesce ad impedire irritazioni, inconvenienti, allarmi e cose che sono piuttosto vicine alle esperienze dei russi ordinari?
Tali regimi non finiscono tanto con un botto, ma con un brontolio.