Russia: due anni di guerra in Siria

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Due anni fa, il 30 settembre 2015, i velivoli da guerra russi hanno lanciato i loro primi attacchi aerei in Siria, immergendo la Russia in una guerra civile che si stava già trascinando da quattro anni.
Mosca è intervenuta in Siria promettendo di combattere lo stato islamico (ISIS) e Jabhat al-Nusra, gruppi terroristici vietati in Russia. Il suo obiettivo era quello di trasformare i rapporti con Washington e Bruxelles, smontare una nuova imminente minaccia di sanzioni occidentali, dopo che Mosca ne era già stata colpita per le sue “avventure” in Ucraina.

Giorni prima dell’inizio degli attacchi aerei, Putin ha tenuto un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui ha chiesto un fronte unito contro il terrorismo internazionale, definendo la strategia un equivalente moderno della coalizione della seconda guerra mondiale contro Hitler.
Due anni dopo però, le speranze russe di ottenere delle concessioni per le sue azioni in Ucraina in cambio della sua campagna contro l’ISIS non hanno avuto storia, in più, la speranza di Putin di creare un’alleanza strategica con gli Stati Uniti, non si è mai materializzata.

La Russia, tuttavia, ha ottenuto due obiettivi meno pregiati. Il primo è stato quello di salvare il regime siriano di Bashar Assad, l’alleato di Mosca, dall’inevitabile sconfitta per mano della rivolta armata sunnita.
Mosca ha sfruttato i legami con l’Iran, un altro alleato del regime siriano, per dispiegare le milizie sciite provenienti dal Libano, Iraq, Afghanistan e Pakistan ed utilizzarle per combattere i ribelli siriani. Ciò ha permesso alla Russia d’inviare una forza modesta in Siria – artiglieria e alcune forze operative speciali – senza lasciarci una grande impronta.

La Russia, concentrando i suoi attacchi aerei degli ultimi due anni su moderati gruppi ribelli siriani e prestando poca attenzione allo Stato islamico, ha aiutato Assad a trasformare la guerra civile e la rivolta popolare contro il suo regime in una lotta contro i terroristi jihad.
Questo ha reso il conflitto in bianco e nero – una scelta tra Assad e jihadisti; ma ha permesso a Mosca di vendere il suo intervento come un sostegno alla sovranità della Siria contro l’anarchia e il terrorismo. La Russia ha reso chiaro, che mentre aiutava gli autocrati amici che sopprimono le rivolte popolari con la forza, stava portando la stabilità nel Medio Oriente.
In casa, il Cremlino ha venduto il suo intervento siriano come un modo per sconfiggere il terrorismo, prima che potesse approdare sul suo stesso suolo. Dopo tutto la Russia ha dovuto impedire che tornassero a casa i russi e gli abitanti dell’Asia centrale che avevano aderito all’ISIS, per evitare che devastassero i loro paesi natii.
Mosca è stata anche in grado di utilizzare la Siria come un campo di prova per le sue armi più recenti.

Con l’utilizzo dei missili da crociera e di alta precisione, la Russia è entrata nell’esclusivo club delle armi diretto dagli Stati Uniti; mostrando forza militare, pur mantenendo basso il numero delle vittime – sono morti circa 40 soldati russi in Siria – in casa il Cremlino è riuscito a vincere il sostegno pubblico.
Ma forse, ancora più importante, è che l’intervento di Putin in Siria ha riaffermato lo status russo di superpotenza globale, capace di proiettare forze lontano dalle proprie frontiere.
Mentre Mosca può essere stata offesa dalla sprezzante descrizione della Russia, rilasciata dal presidente americano Barack Obama, “si tratta di un potere regionale”, ha invece impressionato i leader arabi per il suo incrollabile sostegno ad Assad, un fattore importante in un momento in cui era in dubbio l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza e la stabilità degli alleati nella regione.

Il sostegno di Mosca ad Assad gli ha assicurato canali con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, nonostante il loro sostegno ai ribelli siriani. È stata persino in grado di convincere il Golfo a rinunciare a sostenere l’opposizione siriana perché la vittoria del regime, sotto la guida della Russia, sarebbe stata inevitabile.
Le alleanze russe con la Giordania e l’Egitto si sono rivelate utili per stabilire linee dirette con i gruppi armati dell’opposizione e per raggiungere accordi di de-escalation. E, anche quando ha combattuto al di là del Shia Iran, Mosca ha evitato di essere coinvolta in una guerra settaria con gli stati arabi sunniti.

Però, il più affascinante colpo di stato diplomatico russo, è stato quello d’invertire i calcoli di guerra turchi: per assicurarsi la vittoria decisiva ad Aleppo ha trasformato Ergodan, da un avversario proxy, in un importante partner. E, attraverso il processo di Astana, la Russia, accanto alla Turchia, è stata classificata come adatta a combattere i moderni ribelli.
La vittoria russa in Siria è stata agevolata dalla decisione di Washington di non immischiarsi a Damasco e di non condurre una guerra proxy contro la Russia; invece, gli Stati Uniti si sono concentrati per sconfiggere l’ISIS nella Siria orientale.

Ora, con la diminuzione delle azioni militari nella Siria occidentale, le forze del regime e la forza aerea russa si sono rivolte a sconfiggere l’ISIS, scelta che li ha portati a contatto con le forze democratiche siriane (SDF) sostenute dagli Stati Uniti, che stanno avanzando dal nord-est come parte della loro offensiva per liberare Raqqa dallo Stato Islamico.
In Siria, il potenziale di una collisione Usa-Russia con conseguenze imprevedibili sta aumentando; ciò però, mette in evidenza l’incombente endgame, ma obbliga Mosca e Washington a fare delle scelte importanti.
Washington deve decidere se vuole rimanere in Siria per attuare operazioni di contrapposizione ed impedire il riemergere dello Stato Islamico; oppure, anche scegliere di bloccare l’idea dell’Iran di creare il “ponticello Shia” dal confine iracheno al Mediterraneo. Per Washington ambedue le opzioni comporteranno una richiesta di sostegno da parte dell’SDF, in cambio di un aiuto a controllare le notevoli proprietà immobiliari a nord est del fiume Eufrate e bloccare l’avanzamento verso est delle forze del regime sorrette dalla Russia.

Mosca da parte sua, deve valutare se vuole essere trascinata nella strategia di Assad e Iran, ed assicurarsi una completa vittoria militare in Siria e impedire all’opposizione di esercitare delle azioni autonome – questo potrebbe trascinare la Russia in una brutta lotta proxy con gli americani.
Due anni dopo che la Russia è intervenuta in Siria, la guerra sembra essere quasi al suo fine, ma al contrario si stanno accumulando i contrasti tra Mosca e Washington.

Bedris

One Reply to “Russia: due anni di guerra in Siria”

  1. franco ha detto:

    Putin, qund’è che vieni a liberare anche noi (da sto redattore compreso).

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