La griffe sulla giacca delle persone “rapite da Cristo”

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Ecco, qualcuno dirà, il solito bastian contrario del blog “Come Gesù”: tutti approvano e lui disapprova. Ma no, ma no, il succo dello scritto di Davide Vairani, “Guardare Cristo e non ai patentini di ortodossia”, è piaciuto anche a me. Scrive: “Di fronte ad una società sempre più nichilista e relativista, il rischio per tanti cattolici oggi è quello di reagire dividendo con un rasoio ciò che è buono da ciò che è cattivo, dando per scontato – ovviamente – che essi stessi siano i buoni. L’aggettivo “cattolico” rischia di diventare una sorta di griffe da appendere sulla giacca, una griffe che ha l’unico scopo distintivo per identificare chi è cattolico da chi non lo è. Mi rendo conto di andare giù tranciando grossolamente. Ho come la preoccupante impressione che mai come in questi ultimi tempi i “cattolici” si sentano più impegnati a fabbricare patentini di “vera e autentica cattolicità”, l’uno contro l’altro armati. Una sorta di gara a chi ne sa più dell’altro, tra chi pensa di essere più ortodosso dell’ortodossia”. Giustissima considerazione. Però poi che fa, il Vairani? La griffe l’appende sulla giacca delle persone “rapite da Cristo”, le uniche, sembra, ad essere in possesso della moralità. Ha diviso ciò che è buono da ciò che è cattivo o perlomeno meno buono. E questo non mi è piaciuto. Ho pensato, infatti, al bue che dice cornuto all’asino.

Leggiamo: “In una società sempre più scristianizzata non abbiamo bisogno di un surplus di etica e di morale, ma di persone rapite da Cristo, qui ed ora, adesso! La moralità nasce da questo sguardo fisso alla Persona di Cristo, non dai patentini di ortodossia che troppo spesso ci lanciano contro l’un l’altro. Solo dentro una compagnia che tende al Vero, allora, è possibile che accada il miracolo del riconoscimento che un Altro ci ha fatto, che la vita non ce la siamo data noi, che la vita non si può interrompere quando si vuole, che il dolore e la sofferenza non sono vane… “.

Queste ultime parole, poi, non vedo che cosa abbiano a che fare con la Persona di Cristo. “La vita non ce la siamo data noi”. E allora? Che significa? E dove sta scritto che in circostanze particolari la vita non può essere interrotta? Gesù, in qualche modo interruppe la sua vita. Si può interrompere, la vita, sacrificandola per gli amici: “Nessuno ha un amore più grande di questo: rimetterci la vita per i suoi amici” (Gv  15,13). Alcuni santi l’hanno abbreviata, la loro esistenza, a furia di sacrifici inutili, digiuni e tormenti altrettanto inutili. Non si vede perché non potremmo interrompere la vita qualora diventi insopportabile e senza speranza. “Il dolore e la sofferenza non sono vane”. Sempre? E dove sta scritto?

Carmelo Dini

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