In Crimea nuove persecuzioni

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Nonostante gli sforzi diplomatici e le sanzioni occidentali contro la Russia, Mosca continua ad esercitare pressioni contro le ultime tracce di opposizione politica e sociale nella penisola di Crimea. Infatti, settembre ed ottobre, sulla penisola illegalmente annessa, hanno visto un brusco e violento incremento degli atti di persecuzione.

L’ultima ondata di molestie e intimidazioni sono iniziate subito dopo l’apertura annuale a Varsavia della conferenza dell’Organizzazione per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR), dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Il 13 settembre, il tartaro di Crimea, Renat Paralamov, è stato rapito da non identificate autorità russe e, ha spiegato, d’essere stato duramente picchiato. Tuttavia, grazie alla pressione internazionale, è stato rilasciato il giorno successivo davanti ad una fermata di autobus a Simferopoli. È la prima volta dal 2014, che un individuo scomparso in Crimea viene ritrovato dopo 24 ore.

L’attenzione internazionale raramente concentra i suoi interessi sulla Crimea, tranne quando i politici e gli esperti segnalano che la penisola annessa è “una svolta storica”, o per evidenziarne le implicazioni per il diritto internazionale, la sicurezza regionale e/o globale. Tuttavia, durante la 36° sessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, i delegati hanno presentato una nuova relazione sulla “situazione dei diritti umani nella Repubblica autonoma di Crimea e nella città di Sebastopoli temporaneamente occupate”.

Il documento è una dettagliata panoramica sulla situazione dei diritti dell’uomo dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Inoltre, il massiccio deterioramento della situazione sulla penisola delle scorse settimane ha provocato la condanna dell’Unione europea: il Parlamento europeo ha emesso la risoluzione “sui casi dei dirigenti tartari di Crimea, Akhtem Chiygoz, Ilmi Umerov e il giornalista Mykolay Semena”. La pressione pubblica internazionale viene sistematicamente promossa per difendere i tartari di Crimea, le organizzazioni non governative ucraine e internazionali per i diritti umani (ONG), nonché l’impegno del Mejlis, l’assemblea quasi governativa del popolo dei tartari di Crimea.

In generale, la Russia ha preso di mira due principali gruppi sulla penisola: i membri del Mejlis, come l’unico organismo rappresentativo delle popolazioni indigene della Crimea, nonché i seguaci e i sostenitori di Hizb ut-Tahrir, un gruppo panislamista, che in Russia dal 2013 è riconosciuto come un’organizzazione terroristica. In Crimea, entrambe queste categorie sono prevalentemente costituite da tartari di Crimea.
Il mese scorso il governo russo ha infine preso due decisioni relative a due casi politici: ha agito contro i vice presidenti del Mejlis, Ilmi Umerov e Akhtem Chiygoz. L’11 settembre, a Chiygoz sono stati comminati otto anni di carcere; il 27 settembre, Umerov è stato condannato a due anni da trascorrere in una colonia penale (koloniya-poseleniye).

Nel rilasciare queste sentenze, le autorità occupanti russe hanno sostanzialmente completato il processo di totale interdizione dei Mejlis sulla penisola di Crimea. Mosca, con il pretesto che il Mejlis stesse agendo come un’organizzazione estremista, esattamente un anno fa, lo ha legalmente interdetto. Mosca tuttavia, nonostante l’esistenza del divieto, ha scelto di far valere la sua interdizione in modo piuttosto graduale. La strategia russa ha proibito il rientro in Crimea dei leader tartari che avevano lasciato la penisola; l’isolamento dei potenziali leader che erano rimasti in Crimea (Umerov e Chiygoz) e, con queste misure, ha inviato un messaggio diretto a tutti gli altri membri della comunità. Infine, ha proposto un’alternativa al Mejlis. Ma a causa della forte unità tartara, tutte queste disposizioni hanno avuto un successo particolarmente limitato.

Mosca nel frattempo, ha anche chiaramente calcolato che l’arresto di Umerov e Chiygoz non avrebbe portato al raggiungimento dei suoi obiettivi primari in Crimea. Infatti, grazie ai negoziati ad alto livello, avvenuti tra il presidente dell’Ucraina, della Russia e della Turchia, i due suddetti detenuti politici, il 25 ottobre sono stati liberati e inviati in Turchia, via Anapa. Secondo il leader tartaro di Crimea e l’ex dissidente sovietico Mustafa Dzhemilev, l’accordo è stato raggiunto nel corso dei numerosi incontri tra il capo di Stato turco, Recep Tayyip Erdoğan e la sua controparte ucraina, Petro Poroshenko a New York e a Kyiv, e dopo, durante i colloqui tra Erdogan e il presidente russo, Vladimir Putin.

Secondo il ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin, il rilascio dei due attivisti del Mejlis è il risultato di tre ore di colloqui privati ​​tra Erdoğan e Poroshenko, avvenuti il 9 ottobre a Kyiv. Per Poroshenko, il risultato è molto significativo, in particolare sullo sfondo delle recenti proteste di massa condotte dall’ex presidente georgiano e dall’ex governatore di Odessa, Mikheil Saakashvili. Contemporaneamente la Russia ha affermato che Putin ha perdonato i dissidenti dopo una richiesta del Mufti della Crimea.

L’accordo sul rilascio dei due prigionieri ha infatti portato notevoli guadagni politici al presidente turco e russo. Erdoğan ha ricevuto le lodi dai milioni di tartari etnici cristiani che vivono in Turchia; mentre Putin, liberando i “primi prigionieri politici” in Crimea, è stato ancora in grado di dimostrare la sua “generosità”, come ha fatto nel caso del pilota ucraino Nadia Savchenko (che nel 2016 è stato parte di uno scambio di prigionieri). Il Cremlino da parte sua, approfittando di queste azioni, ha attutito le ulteriori critiche lanciategli dai gruppi dei diritti umani ed ha già sottolineato che “la Russia combatte il terrorismo piuttosto che perseguitare gli oppositori politici in Crimea”.

Infine, il rilascio dei prigionieri è probabile che contribuisca a mantenere calma la situazione in Crimea, anche rispetto alle elezioni presidenziali del prossimo anno.
Le politiche del governo occupante nella penisola di Crimea sono destinate a cementare la dominazione di Mosca; pertanto, le dichiarazioni russe che “combattono il terrorismo perseguendo i membri e i sostenitori dei Mejlis e dei Hizb ut-Tahrir” sono poco più che un pretesto per soffocare la continua lamentela tartara nei confronti dell’annessione della Crimea.

In effetti, le recenti manifestazioni uni-personali effettuate da oltre 100 tartari di Crimea in tutta la penisola (con 49 arresti) sono prove dirette che la situazione attuale sta diventando sempre più tesa.

Gabriele Bedris

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