Quando usiamo il termine “notizie false” non solo è controproducente, ma semplifica eccessivamente un problema molto complesso.
Un anno fa, questo non era il caso. Il termine in realtà significava qualcosa: descriveva un particolare tipo di sito web che utilizzava gli stessi modelli di design dei siti di notizie professionali, ma i suoi contenuti erano interamente fabbricati.
Ma all’inizio di quest’anno, il termine ha iniziato a perdere il suo significato: ha cominciato a descrivere qualsiasi informazione che non piaceva a qualcun altro. Il termine è diventato sempre più una arma dei politici che lo usano per minare il giornalismo indipendente nel tentativo di raggiungere il pubblico direttamente attraverso i propri canali.
Questo non è solo un fenomeno occidentale. La ricerca del Columbia Journalism Review mostra che le persone di almeno altri tre paesi non occidentalizzati credono sempre più che i media “tradizionali” promuovano storie inventate.
Nei paesi in cui la stampa libera è un lusso e la libertà di parola non è garantita, questa frase è una scusa per reprimerle entrambi. La terminologia è importante, e usarla semplicemente “perché tutti la usano”, non è più sufficiente.
Il termine è anche tristemente inadeguato per descrivere la complessità della situazione. Quando pensiamo ai post di Facebook creati dagli account russi durante le elezioni americane, li abbiamo considerati come news? E l’immagine di uno squalo che nuota su un’autostrada del Texas durante l’uragano Harvey? Lo squalo era reale, ma non era a Houston durante l’uragano.
Viviamo in un momento in cui i nostri flussi di informazioni sono inquinati e ci sono diversi tipi di informazioni. Si muovono e si spostano. Alcuni tipi sono visibili; altri sono più difficili da individuare. Alcuni dei quali sono problematici: immagini manipolate create durante un evento di cronaca, ad esempio, progettato per confondere e burlarsi. Ma che dire dei siti di notizie satiriche? Che dire dei titoli fuorvianti pensati esclusivamente per indirizzare il traffico?
Nel recente rapporto “Disturbi dell’informazione”, commissionato dal Consiglio d’Europa e pubblicato dal Centro Shorenstein di Harvard, per pensare e parlare di questo problema sono stati proposti tre termini diversi.
La misinformazione è quando si verifica un errore involontario, come ad esempio il cattivo uso di statistiche o citazioni, o quando riemerge una vecchia immagine (ad esempio quando le persone hanno condiviso la foto dello squalo menzionata sopra).
La disinformazione è quando le informazioni false o manipolate o le immagini vengono deliberatamente usate per fare del male a qualcuno. (Gli annunci di Facebook creati dalla Russia che hanno preso di mira gli elettori statunitensi durante le elezioni presidenziali ne sono un esempio).
La malinformazione è quando vengono utilizzate informazioni autentiche per causare danni a qualcuno (ad esempio vendetta porno).
Voci, teorie cospirative e informazioni fabbricate non sono niente di nuovo. Come spiegò Sun Tzu 25 secoli fa, “tutta la guerra è basata sull’inganno”. Le false informazioni sono parte delle nostre vite, sia che si tratti di persone che mentono per salvare la faccia o prevenire sentimenti feriti, politici che fanno promesse non realistiche durante campagne elettorali, aziende che usano le falsità per danneggiare i loro concorrenti o i media che diffondono storie fuorvianti per ottenere un pubblico più ampio.
Tuttavia, i social media hanno aggiunto una dimensione completamente nuova al fenomeno, soprattutto perché le dinamiche di potere sono cambiate. Ora chiunque nel mondo può facilmente creare e diffondere informazioni false, e con l’aiuto di bot, gruppi organizzati o annunci mirati, può facilmente amplificarle.
E, dato che i social media hanno reso il nostro consumo di informazioni una performance pubblica, ora è ancora meno probabile che molte persone nuotino controcorrente e si sfidino a vicenda. Nella nostra vita sempre più solitaria, chi vorrebbe più sentirsi solo?
Le recenti rivelazioni sull’ingerenza straniera nelle elezioni americane hanno messo in evidenza il fatto che siamo obiettivi di una guerra di informazione attiva. In precedenza questi tipi di campagne venivano combattute tramite sofisticate e costose tecnologie di comunicazione, come la radio a onde corte o la televisione satellitare transnazionale.
Ora agenti significativamente meno potenti possono danneggiare le grandi istituzioni o gli individui stabiliti con poche risorse. È una guerra asimmetrica.
Nei social media ci sono due aspetti nuovi e unici che hanno cambiato il gioco: in primo luogo, la disinformazione può essere amplificata economicamente attraverso volontari impegnati, agenti pagati o bot. In secondo luogo, le nostre fonti di informazione stanno diventando sempre più sociali e quindi molto più visive, emotive e performanti. E poiché la fiducia nelle istituzioni diminuisce, le persone per ottenere informazioni si rivolgono alle loro reti più vicine, quelle di familiari e amici.
Ciò ha creato un ambiente perfetto per la diffusione della disinformazione in tutto il mondo.
Per il lungo termine ci sono significative preoccupazioni. Per i politici di tutto il mondo i social media sono diventati il mezzo più potente per minare i media tradizionali, danneggiando così le fondamenta dell’idea della democrazia rappresentativa: l’informazione onesta agli elettori.
La combinazione di social media e televisione è per i politici un sensazionale focolaio di popolazioni polarizzate da divisioni politiche, economiche, religiose, razziali o etniche.
I metodi sofisticati – in particolare l’uso della pubblicità mirata ai “piccoli” tramite i social media – devono essere considerati una ricetta per il successo elettorale in tutto il mondo.
Quindi cosa si può fare? La verità è che non ci sono soluzioni facili. Queste tendenze sono i sintomi di importanti cambiamenti sociali ed economici a livello globale; ma alla fine, è solo la logica e il pensiero critico che possono salvarci dalla trappola della manipolazione.
La ricerca mostra che con più le persone sono istruite, meno è probabile che siano influenzate dalla guerra dell’informazione.
Tecnologi, responsabili politici e ricercatori stanno lavorando sodo per trovare soluzioni a breve termine. Tuttavia, nessuno di questi avrà un effetto a lungo termine se non verrà riformulata l’istruzione pubblica, specialmente per quanto riguarda l’alfabetizzazione dell’informazione.