La violenza sulla violenza: le Assistenti sociali

Attualità & Cronaca

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Riprendiamo l’intervista a “Maria”. Attraverso il suo racconto, capiremo nella realtà, con quali figure “professionali” sia costretta a rapportarsi una donna che decide di denunciare le violenze domestiche, qualora abbia figli in comune con il carnefice. L’ex compagno di Maria, verrà chiamato R.

Maria, eravamo arrivate al punto delle Assistenti Sociali. Che impressione avesti di loro?

«La prima volta che entrai in quel reparto della Asl, ebbi l’impressione di aver varcato la soglia dell’inferno. Il primo impatto, non fu affatto positivo. Si respirava un’aria di tacita sofferenza. Capii subito che mi ero andata ad affossare in un pantano…»

Come ti accolsero?

«C’era una Dottoressa, spettava a lei seguire il nostro “caso”. Io ero in sala d’attesa con mia figlia. Naturalmente appena uscì dalla sua stanza, ci sorrise e con quell’aria falsamente amorevole disse: “Sei tu la piccola Valentina, vero?” La bambina non rispose: a due anni ancora parlava poco e poi credo fosse anche agitata»

Ebbe così inizio il colloquio. Ce lo descrivi brevemente? prima cosa, mise la bambina a giocare da una parte e fece una serie di domande sulla mia vita».

Domande di che tipo?

«Doveva avere ogni informazione su di me, per iniziare a sviluppare un profilo completo della figura materna. Mi chiese se lavorassi, dove, da chi fosse composta la mia famiglia, quale fosse la professione dei miei genitori etc. Poi una serie di domande invece furono rivolte al rapporto con il mio ex compagno».

E l’analisi di Valentina, in che modo avvenne?

«Quando toccò alla bambina, mi fece uscire dalla stanza, perché dovevano restare sole».

Cosa provasti in quel momento?

«Sapevo che fosse una Dottoressa Psicologa e diciamo che mi fidavo. Ma certamente ero in ansia per Valentina, per quello che le sarebbe passato dentro la sua testolina. Mi chiedevo se si sentisse a disagio, se avesse voluto andare via…»

Quello fu il colloquio conoscitivo. Quanti altri ce ne furono?

«Se dovessi dire un numero, non saprei. Tanti. Ci furono colloqui per circa tre anni, puntualmente ogni settimana».

Quando parlasti con la Dottoressa della relazione violenta con il tuo ex, cosa ti disse?

«La prima cosa che mi disse, è che aveva avuto un’ottima impressione del mio ex compagno. Aggiunse: “Essere un cattivo partner , non vuol dire essere un cattivo padre”».

Cosa volle dirti con questa frase?

Sorride (n.d.r.). «Credo volesse dirmi di non lamentarmi mai più di lui e dei suoi continui abusi».

Perché dici “continui”, se lo avevi lasciato. Cosa ti faceva ancora?

«Certamente chiudere la storia è stata la mia salvezza. Ma non ha mai smesso di farmi ogni tipo di violenza psicologica».

Vuoi farci alcuni esempi?

«Scriveva lettere nelle quali diceva che mi avrebbe tolto la bambina. Qualsiasi cosa provassi a fare, cercando di mantenere dei rapporti civili esclusivamente per Valentina, trovava un appiglio a cui attaccarsi. E allora inviava raccomandate, faceva telegrammi. Ero bombardata. Non vivevo più. Voleva farmi passare a tutti i costi per una cattiva madre».

Quindi uscisti da un dramma, per ritrovarti in un altro incubo. Come ti sei sentita in quei momenti?

«Devo dire la verità?»

Certamente, ma solo se te la senti.

«Nei momenti di maggiore sconforto, sono giunta persino a pensare che sarebbe stato meglio se non l’avessi lasciato, almeno in quel caso avrei dovuto fare i conti solamente con il mio aguzzino. Così invece mi toccava lottare contro lui e contro un sistema».

Quale fu la tua reazione alle sue continue vessazioni psicologiche?

«A dire il vero allora neppure sapevo che tutto ciò che il mio ex faceva contro di me, si chiamasse violenza psicologica. Tuttavia ero certa che esagerasse, che non fosse quello il modo di comunicare con la madre della propria figlia».

Chiedesti aiuto a qualcuno?

«Certamente. Ne parlai con le Assistenti Sociali e poi con il mio Avvocato».

E come andò? Ti aiutarono?

«Più tentavo di fare presente la situazione alle Assistenti Sociali, più queste mi venivano contro in ogni modo. Il mio Avvocato invece mi disse che dovevo vivere senza badare a quegli atteggiamenti e alle parole del mio ex: era il padre di mia figlia e quindi non potevo chiudere completamente i rapporti. Insomma in entrambi i casi, mi fecero capire che non mi era data possibilità di liberarmene, perché con lui avevo il “vincolo” di Valentina…»

Quale fu il tuo primo pensiero, dopo questa dura realtà?

«Mi sono dovuta difendere da sola, per quel che ho potuto. Ma non c’era modo: neppure davanti alla mia fermezza. Anzi…Ogni volta che cercavo di assumere atteggiamenti aggressivi per farlo indietreggiare, avanzava sempre di più».

Possiamo solo immaginare il disarmante senso d’impotenza che hai provato. In effetti il tuo ex reagiva in maniera opposta a come chiunque si sarebbe aspettato…

«Esatto. Insomma, quando una persona diventa invadente, aggressiva e maleducata, farsi vedere fermi e duri, solitamente arresta ogni altro attacco. R. invece aumentava la sua violenza sempre di più».

Vedi articolo su psicopatia

A questo punto cosa hai pensato di fare?

«Ho creduto di morire o d’impazzire. Non è possibile vivere così. E` qualcosa di disumano e indescrivibile. Ogni mio tentativo di difesa risultava vano, anzi mi veniva addirittura usato contro da lui stesso, per dipingermi davanti alle Assistenti Sociali come una donna dai cattivi costumi e una pessima madre».

E le Dottoresse in questione, come valutarono la situazione?

«Io ero diventata il lupo cattivo, solo perché cercavo in tutti i modi di difendere la mia vita, di poter vivere serenamente come tutti. E lui era diventato il santo da prendere come esempio».

Ci furono mai colloqui davanti alle Assistenti Sociali, in presenza del tuo ex?

«Certamente. Era un gioco al massacro. R. recitava la parte della vittima e per mettere in atto la sceneggiata, usò prima la famosa denuncia per maltrattamenti in famiglia e poi le mie ultime ed estemporanee reazioni alla violenza psicologica cui mi sottoponeva di continuo. Insomma ero diventata colei che denunciava senza motivo alcuno il suo ex compagno e una donna con la quale era impossibile avere rapporti civili da genitori separati».

Quindi il ribaltamento della realtà, da carnefice a vittima, gli stava riuscendo perfettamente. E le professioniste in questione, non erano in grado di smascherarlo?

«Più che non riuscirci, non vollero. Erano perfettamente consapevoli di quello che stava accadendo. Usavano ad hoc i colloqui anche in presenza di R., per distruggermi. Ci volle il mio coraggio e la mia lingua per combatterli tutti».

Ma a questi incontri, potevi andare accompagnata da qualcuno? Il tuo Avvocato poteva assistere?

«Assolutamente no. Dovevo stare sola. Da quanto so, per legge, le parti non possono presentarsi con i loro legali».

Dunque il tutto avveniva in una stanza, senza testimoni e alla presenza del tuo carnefice con le Dottoresse, giusto?

«Esatto».

Maria, ci dispiace ricordarti alcune cose brutte, che in fondo sarebbe meglio dimenticare.

«Ormai fanno parte di me e da quelle stesse è nato il sorriso che vedete».

Ci sembra tutto così assurdo è impensabile, ma tra i tanti colloqui che facesti, ne ricordi alcuni davvero inconcepibili?

«Purtroppo sì. Ne ho in mente tre».

Bene, allora se riesci a descriverli…

«Non dimenticherò mai l’incontro fissato da due Dottoresse, alla presenza del mio ex e dei genitori di lui. Quello fu un assalto vero e proprio. Un’aggressione sancita dallo Stato, una violenza legalizzata. Ricordo solo urla e grida. Ed io che provavo a difendermi…»

Non chiamarono, per correttezza, anche due dei tuoi familiari?

«No. Io ero sola».

Passiamo all’altro colloquio…

«Per raccontarvi questo, devo prima fare il punto su ciò che era accaduto precedentemente. Durante il primo pernotto di Valentina con il padre, la bimba rientrò a casa con vari ecchimosi su gambe e braccia. Erano piccoli lividi, tutti della stessa forma e grandezza. Più o meno erano grandi quanto una moneta da dieci centesimi di euro. Portai mia figlia al Pronto Soccorso e venne fatto un referto, con tanto di descrizione dell’accaduto da parte della bambina ( che aveva due anni e otto mesi), alla presenza di tre Medici».

Cosa riferì la piccola Valentina?

«Diceva “Mamma di papà R. ha fatto così, perché ero cattiva e non dormivo”. Il tutto veniva affermato, mentre con una manina mimava il gesto del pizzico».

Quale fu la diagnosi dei Medici?

«La forma e la grandezza delle ecchimosi, aveva in loro già destato un forte sospetto, poiché sbattendo o cadendo, non si formano lividi tutti uguali. Le dichiarazioni di Valentina, non lasciarono più alcun dubbio: qualcuno, stando alle parole della bambina, la nonna paterna, aveva preso a pizzichi la nipote perché faticava a prendere sonno».

Scrissero tutto nel referto?

«Sì. E inviarono subito una copia alla Questura di Polizia».

C’è un processo penale in atto per questo grave episodio?

«No. Nei giorni seguenti venni contattata da un’Ispettrice di Polizia, che m’informava del processo penale aperto ai danni di chi aveva compiuto l’aberrante azione. Poi è tutto sparito in una bolla di sapone».

Non riusciamo a commentare l’accaduto, ma andiamo avanti. Relativamente a questo episodio, cosa avvenne con le Assistenti Sociali?

«Poiché avevo portato tale referto in Corte d’Appello, durante un colloquio con la Dottoressa Psicologa della Asl, subii l’ennesima eclatante violenza: questa arrivò a dirmi che ero stata io a procurare le ecchimosi a Valentina, per poi accusare la madre del mio ex compagno».

Anziché trovare appoggio e comprensione dal personale competente, venivi addirittura accusata del fatto. Come ti sei sentita e come hai reagito alla gravissima e calunniosa accusa?

«C’era da rivoltarle la scrivania addosso, come minimo. Tuttavia, non so come, mantenni la calma e non proferii parola. Non mi discolpai, perché non avevo colpa. Ricordo che quando uscii dallo stabile, mi accasciai a terra tra lacrime e singhiozzi».

Sei riuscita a non piangere davanti alla Dottoressa?

«Proprio così. Se avesse visto disperarmi, probabilmente mi avrebbe fatto ricoverare in un reparto psichiatrico o al CIM (Centro di Igiene Mentale), accusandomi di essere pazza».

Credi che davvero la Psicologa pensasse che fossi tu l’autrice del misfatto?

«No che non lo pensava. La sua era solo una provocazione. Sperava di ottenere in risposta una mia plateale reazione, in modo poi da ritorcermi tutto contro e togliermi la bambina».

Come ci si sente a subire violenza da parte degli organi dello Stato, da chi dovrebbe difendere le vittime?

«Sono nauseata e disgustata dal nostro Paese. Mi vergogno di essere italiana. E capisco altre vittime di violenza o i loro parenti, che vorrebbero strappare la carta d’identità…»

Siamo giunti all’ultimo dei tuoi tre peggiori ricordi.

«Questo non mi riguarda direttamente, perché l’ha subito mia madre, ma io ero fuori dalla stanza nella quale era stata chiamata a presentarsi al colloquio con la Dottoressa Psicologa e l’Assistente Sociale. Mia madre non sapeva cosa avvenisse di preciso là dentro. Non si rendeva conto di cosa sarebbe potuto succedere, se avesse provato a far loro presenti tutte le violenze del mio ex compagno. Avevo tentato di dirle che le Dottoresse fossero un muro di gomma, un ostacolo insuperabile, ma forse spinta dall’istinto di difesa materno, andò avanti, sbattendogli in faccia tutte le verità su colui che dipingevano come un santo. Non ascoltai i loro dialoghi poiché naturalmente le vittime devono entrare sole, così possono fargli ciò che vogliono. Quando uscì dalla stanza, vidi mia madre sconvolta: era rossa in viso, gli occhi sbarrati. Le chiesi se avesse bisogno delle cure di un ospedale, non le usciva il fiato per rispondermi. Solo dopo qualche minuto mi riferì che le Dottoresse l’avevano minacciata di mettere Valentina dentro una casa famiglia, qualora noi avessimo continuato ad andare contro il padre».

Insomma, dentro quella stanza, ci pare di capire che avvenisse di tutto…

«Proprio così. Hanno fatto e disfatto ciò che volevano. Un giorno, quando ho detto che le avrei denunciate, una delle due iene con un ghigno sul viso, rispose: “E come Signora? Le ricordiamo che non ha testimoni in suo favore, mentre noi siamo in due e la nostra parola, come professioniste, vale il doppio della sua”».

Conclusioni

Ringraziamo Maria per averci informati su cose che nessuno dice. Basta raccontare solamente l’aggressione dello stalker e ogni altra forma di femminicidio. Facciamo luce su ciò che avviene a causa dello Stato italiano. Ridiamo volto e identità a tutte quelle vittime ammutolite da un sistema. Gridiamo il loro dolore, causato dagli organi che dovrebbero difendere le donne e i minori vittime di violenza.

Analisi del racconto di Maria

Ci sono alcuni punti-chiave dell’intervista, sui quali occorre soffermarci. Maria sottolinea il fatto che allora, mentre subiva, non conoscesse la violenza psicologica, pur avvertendo il malessere del grave abuso. E in quest’ottica diventa quanto mai fondamentale l’informazione.

Ha spiegato come anche le Assistenti Sociali e persino il suo Avvocato, ignorassero il problema. Trovandosi completamente sola, ella ha fatto di tutto per tentare di difendersi dal suo aguzzino, sperando di farlo indietreggiare. Ma più si mostrava aggressiva per tutelare la sua vita, più aumentava la violenza del carnefice nei suoi confronti. Tutto ciò perché si tratta di un soggetto patologico, affetto da psicopatia; non provando emozioni, gode e si nutre di quelle altrui, anche nel caso in cui siano negative. Davanti a uno psicopatico o a un narcisista perverso, l’unica vera salvezza è non avere alcun contatto. Nel caso di Maria però, avendo una figlia in comune, questo diventa impossibile; per cui le cose da tenere bene in mente sono due: non reagire mai e non giustificarsi. Lo psicopatico di solito costruisce situazioni atte a provocare la reazione nella vittima, per poi ritorcergliela contro. Accusa in modo calunnioso e fa di tutto per far sentire la donna in colpa. Tutto il fango che ha dentro, egli lo sputa fuori, contro colei che ha deciso di distruggere. Ecco perché R. ha sempre cercato di far passare Maria per una cattiva madre e come una “poco di buono” : chi è affetto da questo disturbo, non accetta minimamente l’idea di essere lasciato, per cui tutto ciò che verrà dopo la fine della relazione, sarà sempre volto a diffamarvi e infangarvi in ogni modo. In fondo deve convincere gli altri e sé stesso, di non aver perso una compagna di valore ed impiega tutte le sue energie per dimostrare che la causa del fallimento familiare, siete solamente voi. Da qui nasce tutto il ribaltamento della realtà, sagacemente costruito dallo psicopatico, che riesce a passare da carnefice a vittima. La sensazione struggente che ha la donna, è quella di non vedere alcuna via d’uscita: in effetti con un soggetto simile, non ci sono scappatoie, poiché come abbiamo visto, è in grado di sfruttare tutto a suo favore, persino un processo penale che lo vede imputato. In verità, dovrebbe essere chi è pagato dallo Stato per aiutare le vittime, a garantire a queste stesse una via di salvezza. Dobbiamo evidenziare che spesso tali uomini riescono a manipolare e a raggirare anche gli Psicologi, ma nel caso di Maria e in tanti altri casi, le Assistenti Sociali non volevano proprio vedere la realtà, più che non riuscivano a farlo.

Spesso sappiamo che servono le prove per dimostrare alcuni fatti. Ma quando non basta neppure un referto di Pronto Soccorso, allora cosa bisogna fare? Come si sente una donna che subisce tutto questo? Lo chiediamo ai nostri Politici, ai Magistrati, alle Assistenti Sociali, alle Forze dell’Ordine.

Il modus agendi delle Dottoresse che esaminarono la “pratica” di Maria e R., è fedele a quello del narcisista perverso e dello psicopatico. Hanno tutti agito facendo continua violenza psicologica sulla donna e cercando in ogni modo di provocare la sua sottomissione rassegnata, oppure una spropositata reazione. La forza del cervello, è stata quella di non cedere agli abusi, ma di non reagire, evitando il peggio. Maria aveva capito che le Assistenti Sociali non aspettavano altro che ella desse loro il giusto motivo, per portarle via sua figlia. Lo stesso scopo era quello dell’ex psicopatico, che attuava l’assalto finale, cercando di far togliere Valentina dalla potestà della madre. Quale coltellata più profonda per una donna, se non quella di separarla dalla figlia?

Lo psicopatico è un soggetto malato a livello psichico, ma le Dottoresse incaricate dal Tribunale dei Minori di Roma, perché ci tengono così tanto a togliere i figli alle mamme? Perché davanti a una situazione di contrasto dei genitori, la soluzione migliore è sempre quella di sbattere il minore in una casa famiglia? Perché non agire risanando le problematiche del nucleo familiare? Perché non individuare il soggetto malato e tentare di curarlo ( nei limiti del possibile, in quanto appare inesistente una cura definitiva), senza che faccia impazzire la vittima o arrechi gravi danni ai figli? In pochi sanno, che dietro alle case famiglia in cui sono rinchiusi i minori, c’è un giro di soldi, che entra nelle tasche dello Stato.

E ancora, che fine ha fatto la denuncia penale partita dal pronto Soccorso, per via delle ecchimosi riportate da Valentina?

Quante domande senza risposta, quanti buchi neri. Crateri nei quali l’aguzzino si muove come vuole. Sperando che tutto questo sia di riflessione a chi sta al Governo e di aiuto, a tutte le donne intrappolate in questo sporco ingranaggio, ora è chiaro il motivo per cui denunciare significhi andare contro un sistema.

violenzadonne.com

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