…quel mattacchione, genialoide e simpaticone di Allevi

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di Pierfranco Moliterni

BARI – E così, dopo Evolution, il pianista-compositore-direttore Giovanni Allevi ha presentato a Bari, nel Petruzzelli e per conto della “Camerata Musicale”-Eventi Straordinari in un teatro gremito di suoi fans che lo hanno atteso, numerosi e pazienti sino all’uscita dopo il concerto per strappargli il desiato autografo, l’ultima delle sue circonvoluzioni para-accademiche dal titolo molto significativo Equilibrium. E a tale proposito, tentando noi qui per il «Corriere Nazionale» una sorta di “equilibrio critico”, vogliamo andare contro corrente rivalutando, per quel che merita, questo musicista marchigiano (nato ad Ascoli Piceno nel 1969) diplomato in  pianoforte e laureato in filosofia, che nel fisico alto e asciutto ben si conserva pur se alle soglie dei cinquant’anni; egli, pieno di spirito, di simpatici tic, di veritiere oppure inventate debolezze psichiche da lui dichiarate apertamente (“la mia psicoterapeuta mi dice che devo respirare in maniera diversa”), con manìe, fobìe, paure inconsulte: tutte cose che vengono come sublimate dal medesimo comportamento in scena, col sorrisino a metà strada tra ironico e furbesco, tra il compiaciuto e il sottaciuto, il fanciullesco e il falso-ingenuo.

Ogni cosa è ben studiata, al limite del naturale o dell’istintivo dunque, a cominciare dall’abbigliamento sempre uguale, sempre lo stesso, sin da quel lontano 1997 quando Giovanni esordì, vindice l’amico e sodale Jovanotti, col suo primo album per pianoforte solo dal titolo 13 Dita: jeans fumè, attillata maglietta nera a maniche corte, scarpe da tennis noir vecchio stile, capelloni riccioluti e incolti, occhiali. Non c’è che dire, un personaggio nel personaggio, il quale arriva in scena correndo e subito abbracciando il pubblico che subito lo acclama, lo idolatra quasi, ancor prima che si sieda alla tastiera del pianoforte e incominci a suonare. Ecco qui, veniamo al dunque,  a quanto solitamente si richiede ad un solista, ad un pianista concertista: suonare.

Ma suonare come? Allevi suona tecnicamente benino non c’è che dire, fa tutte le note (abbiamo contato solo 3 imprecisioni, note false, in 60’ di sue musiche) grazie alle mani pianistiche allenate dalla tecnica feroce e dai testi sacri conservatori di Clementi, Bach, Schubert, Schumann, Chopin. Poiché in questi suoi ‘equilibrismi’ del concerto petruzzelliano, poco gli si richiedeva tecnicamente e sonoramente; niente o quasi, ad esempio, di dinamiche sonore (mp, p, pp, mf, f, ff).

Tutto qui era quasi uguale a se stesso, tutto era tenuto in una sonorità mediana, tutto era il ’suo stile’. E andava, e va bene così, perché mica ci aspettiamo da lui una nuova interpretazione delle Variazioni Goldberg o di una mazurka di Chopin. Di Giovanni Allevi stiamo parlando, cari signori, mica di Maurizio Pollini, Martha Argerich o di Beatrice Rana. E allora gloria (pur piccola) a questo musicista pop di casa nostra!

Pierfranco Moliterni

 

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