Chi è Maurizio Martina, l’antileader che vuole fare il leader

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Il candidato segretario è cresciuto nella sinistra, ma si è guadagnato il soprannome di “Fra Martina” per i suoi rapporti con i cattolici. Ha sempre ottenuto i migliori risultati agendo dietro le quinte, ma ora è pronto per essere protagonista

di Giulio Scranno

6 Aprile 2018 – 07:30

Solido, pragmatico, silenzioso, determinato: sono solo alcuni degli aggettivi che possono essere usati per descrivere Maurizio Martina, reggente del Partito Democratico e molto vicino ad essere confermato (Giglio magico permettendo) segretario all’Assemblea nazionale fissata per il prossimo 21 aprile. Dicono di lui le persone che gli stanno politicamente più vicine: «È l’anti-leader per eccellenza, mai una parola fuori posto. Però quando si mette in testa una cosa va fino in fondo, costi quel che costi».

E in effetti, la verve con cui ha preso in mano le redini di un partito distrutto dall’ultima tornata elettorale ha sorpreso tutti. E’ stato scelto per ricoprire un ruolo di garanzia, che riuscisse ad evitare che il Pd esplodesse. In questa fase sta riuscendo nell’intento, tanto che sembra averci preso gusto. Il suo mantra, che poi è il mandato che ha ricevuto dalla Direzione nazionale, è quello della gestione collegiale. Tanto che nel corso di queste settimane ha fatto più volte storcere il naso all’ala più intransigente del mondo renziano, che sperava di poter continuare ad imporsi senza particolari patemi. Al tempo stesso non ha mai dato l’idea di voler ripiegare su posizioni “punitive” nei confronti di chi lo ha preceduto, rispedendo al mittente i tentativi di strumentalizzazione del suo ruolo in chiave anti-renziana. Sta dimostrando nervi saldi ed autonomia di pensiero. E, per ora, non è poco.

Il suo mantra, che poi è il mandato che ha ricevuto dalla Direzione nazionale, è quello della gestione collegiale. Tanto che nel corso di queste settimane ha fatto più volte storcere il naso all’ala più intransigente del mondo renziano, che sperava di poter continuare ad imporsi senza particolari patemi.

«Quello che è oggi – dicono ancora i ben informati – lo deve alla sua biografia, sia personale che politica». Nato 39 anni fa nella profonda provincia bergamasca, da una famiglia di operai, atalantino sfegatato, molto legato alla sua terra, Martina si è subito distinto come un “primo della classe”, fin dai tempi dell’istituto agrario.Laureatosi in Scienze Politiche a Macerata, ha cominciato giovanissimo la sua carriera politica, ripartendo sempre dalle origini. A 21 anni entra nel consiglio comunale del suo Comune, Mornico al Serio. Tre anni dopo, nel 2002, è responsabile locale della sinistra giovanile, l’organizzazione under 30 dei Ds. Cresce sotto l’ala dell’allora segretario provinciale Antonio Misiani (che poi diventerà deputato e tesoriere del Pd negli anni della segreteria Bersani) e stringe un sodalizio politico con Matteo Rossi, attuale presidente della Provincia di Bergamo, ancora oggi uno dei suoi amici più fidati. L’ascesa è inarrestabile. Nel 2004 diventa segretario dei Ds nella città orobica.

Negli anni di Bergamo sviluppa anche rapporti che vanno al di là dell’universo della politica. Fin dalla sua prima esperienza a Mornico, entra in contatto con il mondo cattolico. Il sindaco del Comune in cui Martina viene eletto con una lista civica in consiglio è Rossano Breno, che poi diventerà presidente della Compagnia delle Opere locale. Breno viene descritto come “un volpone democristiano”, ma con il giovane Martina il rapporto è ottimo, tanto che il feeling tra i i due non si romperà mai. È in questi anni che si diffondono le voci di un rapporto privilegiato tra il politico bergamasco e l’ambiente che fa riferimento a Comunione e Liberazione. Da segretario locale dei Ds, in occasione del referendum sulla legge 40, scrive una lettera al quotidiano locale – di proprietà della Chiesa – firmandola insieme a Rossi e invocando un dialogo tra laici e cattolici. Questa iniziativa gli vale il soprannome di “fra’ Martina”, affibbiatogli dai sinistrorsi locali.

Da segretario locale dei Ds, in occasione del referendum sulla legge 40, scrive una lettera al quotidiano locale – di proprietà della Chiesa – firmandola insieme a Rossi e invocando un dialogo tra laici e cattolici. Questa iniziativa gli vale il soprannome di “fra’ Martina”, affibbiatogli dai sinistrorsi locali.

Tutto ciò non frena la sua ascesa, anzi. Nel 2006 è segretario regionale dei Ds lombardi, ruolo confermato con la nascita del Pd nel 2007. Nel 2010 entra in Consiglio regionale e ci rimane anche dopo le elezioni del 2013. Il suo percorso non è esente da pesanti errori di valutazione. Appoggia Filippo Penati, poi affondato da grane giudiziarie. Sponsorizza la candidatura di Umberto Ambrosoli alla Regione ma per la sinistra non c’è alcuna gioia, nonostante la quarta e ultima giunta Formigoni venga spazzata via dagli scandali. Va meglio a livello di elezioni comunali. Sotto la sua guida, il Pd conquista tutti i capoluoghi di provincia lombardi, comprese alcune roccaforti storiche di Lega e Forza Italia come Varese e Sondrio.

Colpisce la sua capacità di adattamento alle situazioni, oggettivamente fuori dalla norma, una qualità non da poco per uno cresciuto a polenta e politica, con interessi che variano dal teatro all’agricoltura. Le sue qualità camaleontiche gli consentono di rimanere sempre (con discrezione) al centro della scena. Il legame con Pier Luigi Bersani è forte e quando il leader cade in disgrazia opta per Gianni Cuperlo al congresso del 2013. Col tempo però cresce la sintonia con Renzi, che lo porta prima al governo con il ruolo di ministro delle Politiche Agricole e poi lo fa diventare vicesegretario unico, con l’obiettivo (mancato) di creare un ponte con l’anima più di sinistra del Pd.

Ma i suoi più grandi successi li ottiene come regista dietro le quinte. Il primo è l’operazione che porta Giorgio Gori a conquistare il Comune natio di Bergamo. Il secondo è lo straordinario successo di Expo. Il terzo è il lavoro fatto in silenzio per far diventare Beppe Sala sindaco di Milano, prima vincendo le primarie e poi il ballottaggio all’ultimo voto con Stefano Parisi. È grazie a questo percorso che oggi Martina si è preso il Pd e si candida a guidarlo anche per i prossimi mesi. Con l’appoggio di una ristretta pattuglia di fedelissimi, che vanno dai parlamentari lombardi Matteo Mauri e Roberto Rampi, già con lui ai tempi della federazione, alla romana Micaela Campana fino alla portavoce-tutto fare Caterina Perniconi. Da come sarà in grado di gestire, oggi e domani, la tenuta del Pd nelle difficili partite parlamentari ed interne che lo attendono, dipenderà anche il futuro politico di Maurizio Martina, l’ex invisibile che vuole diventare grande.

 

 

 

 

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