In Italia si vive di piu’, ma al sud si muore prima

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In Italia si vive di piu’, ma al sud si muore prima.Allarme anziani, fra 10 anni 6,3 milioni non autonomi

In Italia si muore meno per tumori e malattie croniche ma solo dove la prevenzione funziona, cioe’ al Nord. Al Sud, invece, il tasso di mortalita’ per queste malattie e’ maggiore tra il 5 e il 28%. Sono i dati del Rapporto Osservasalute 2017. Tra 10 anni, inoltre, si porra’ un problema serio di assistenza agli anziani: 6,3 milioni non saranno autosufficienti. Gli over-65 inabili ad avere cura di se’ saranno 1,6 milioni, mentre quelli con problemi di autonomia saranno a 4,7 milioni (+700mila).

Nonostante l’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento delle malattie croniche in Italia si verificano meno decessi in età precoce: il tasso standardizzato di mortalità precoce, che si verifica cioè tra i 30-69 anni e dovuta principalmente alle malattie croniche, è diminuito di circa il 20% negli ultimi 12 anni, passando da un valore di circa 290 a circa 230 ogni 10.000 persone. Gli uomini presentano un tasso di mortalità molto più alto delle donne, anche se nel corso degli anni il divario di genere è diminuito. Se negli ultimi anni il trend nazionale e di genere della mortalità precoce è stato sempre decrescente, nel 2015 si è avuta una battuta di arresto: dopo più di un decennio la mortalità non è diminuita. Nel corso degli anni (2004-2015), tutte le regioni hanno ridotto la mortalità precoce per le malattie croniche, alcune in maniera più significativa (Umbria e Lombardia) di altre (Sicilia e Sardegna).

Le differenze a livello territoriale della mortalità precoce sono evidenti e non si sono colmate con il passare degli anni, anzi la distanza tra Nord e Mezzogiorno è aumentata. Nel 2015, la Provincia di Trento ha presentato il valore più basso (195,6 per 10.000), mentre la Campania quello più alto (297,3 per 10.000), con un tasso del 22% circa maggiore di quello nazionale e del 14% circa più alto delle altre regioni del Mezzogiorno: la Campania, quindi, come per la speranza di vita, risulta distaccata dalle altre regioni. Oltre alla Provincia di Trento, le regioni con la mortalità precoce più bassa sono state l’Umbria (204,7 per 10.000), l’Emilia-Romagna (205,8 per 10.000) e il Veneto (206,9 per 10.000); quelle con la mortalità più alta, oltre la Campania, sono state la Sicilia (254,7 per 10.000) e la Sardegna (249,2 per 10.000). Il Lazio presenta un tasso abbastanza alto, pari a 245,3 per 10.000, più vicino alle regioni del Mezzogiorno che a quelle del Centro. Se paragoniamo il 2015 con l’anno precedente, solo per le regioni del Nord il tasso è si è ridotto, anche se lievemente, mentre per le regioni del Centro o del Mezzogiorno è rimasto invariato e in alcuni casi è leggermente aumentato (per esempio in Sardegna).

È quanto emerge dai dati che emergono dalla XV edizione del Rapporto OSSERVASALUTE(2017), un’approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi a Roma. Pubblicato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica, e coordinato dal Professor Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Direttore dell’Osservatorio e Ordinario di Igiene all’Università Cattolica, e dal dottor Alessandro Solipaca, Direttore Scientifico dell’Osservatorio, il Rapporto (603 pagine) è frutto del lavoro di 197 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).

Sul fronte della salute gli italiani sono sempre più anziani e tra questi (in particolare tra gli over-75) aumentano quelli con limitazioni fisiche, che non sono in grado di svolgere da soli attività quotidiane semplici come telefonare o preparare i pasti (+4,6% tra 2015 e 2016 negli over-75 che riferiscono qualche limitazione nelle attività – Dati Eurostat). Per esempio tra gli ultra-sessantacinquenni l’11,2% ha molta difficoltà o non è in grado di svolgere le attività quotidiane di cura della persona senza ricevere alcun aiuto, quali mangiare da soli anche tagliando il cibo, sdraiarsi e alzarsi dal letto o sedersi e alzarsi da una sedia (per confronto in Danimarca sono il 3,1% – valore più basso in Europa – in Svezia il 4,1% degli ultrasessantacinquenni, in Belgio – valore max in Europa – il 16,7%; la media UE-28 è più bassa rispetto al dato italiano ed è pari all’8,8% degli anziani over-65). Aumentano del 12,1% dal 2012 al 2016 le malattie croniche e la compresenza in un paziente di più di una di queste malattie – la prevalenza di pazienti con multicronicità risulta in crescita dal 2012 (22,4%) al 2016 (25,1%) -. Tale prevalenza è più elevata nel genere femminile rispetto a quello maschile in tutti gli anni considerati e, nel 2016, è pari al 28,7% tra le donne e al 21,3% tra gli uomini. Se confrontiamo l’Italia con altre realtà europee non sempre il nostro Paese ne esce con un quadro rassicurante. L’Italia è tra i Paesi più longevi d’Europa e del mondo – secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2015 si colloca al secondo posto dopo la Svezia per la più elevata speranza di vita alla nascita per gli uomini (80,3 anni) e al terzo posto dopo Francia e Spagna per le donne (84,9 anni), a fronte di una media dei Paesi dell’Unione Europea (UE) di 77,9 anni per gli uomini e di 83,3 anni per le donne. Anche rispetto agli anni di vita attesa all’età di 65 anni gli uomini e le donne italiane vivono in media un anno in più del valore medio europeo (rispettivamente, 18,9 anni vs 17,9 e 22,2 anni vs 21,2 anni). Tuttavia se si esamina la speranza di vita senza limitazioni, dovuta a problemi di salute, la situazione cambia: ad eccezione della Svezia, gli altri Paesi ai primi posti della graduatoria per speranza di vita alla nascita degli uomini, come Spagna e Italia, scendono, rispettivamente, al 7° e 11° posto; per le donne, Francia e Spagna scendono al 6° e 8° posto, mentre l’Italia va nella 15a. Posizione, quindi anche al di sotto della media dell’UE. Secondo il direttore dell’Osservatorio Ricciardi: “Il dato positivo è che dopo uno stop, l’aspettativa degli italiani ricomicia a crescere. I problemi sono il grande gap fra nord e sud e la qualità della vita nella sua ultima parte: una donna meridionale vive sì 84 anni, ma gli ultimi 16 anni della sua vita li passa in situazioni di cattiva salute”.

 

 

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