Veneziani: «Con il dilettantismo dei Cinque Stelle il Governo sarà un fallimento»

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Parla Marcello Veneziani. «Dell’ambizioso programma non si realizzerà nulla. L’idea che due populismi così diversi possano sommarsi è velleitaria. L’Italia in mano a un governo populista? Dicevano lo stesso di Berlusconi. Piuttosto mi preoccupa il curriculum disarmante di certi leader»

di Marco Sarti

Il governo tra Salvini e Di Maio ha altissime probabilità di fallimento. Ne è convinto Marcello Veneziani, noto scrittore e giornalista, tra i principali intellettuali della destra italiana. L’improvvisazione e il dilettantismo dei grillini non lasciano presagire nulla di buono. E a pagarne le spese potrebbe essere la Lega, che rischia di bruciarsi in un’alleanza con un movimento altrettanto populista, ma molto diverso.

Dopo un lungo corteggiamento, alla fine Salvini e Di Maio sembrano aver trovato l’accordo. Secondo lei questo governo può davvero partire?
Sì, adesso rischia di farcela. Onestamente non so cosa accadrà dopo la partenza. Non so se questo governo riuscirà a consolidarsi o, più facilmente, a sfasciarsi. Sarà difficile cercare una sintesi. Mi sembra velleitaria l’idea che due populismi diversi, in alcuni casi persino opposti, possano sommarsi. Il fattore improvvisazione e dilettantismo tipico dei Cinque Stelle, poi, fa capire che ci troviamo davanti a una grande avventura.

L’alleanza tra Lega e grillini non la convince. Ieri ha scritto che la soluzione migliore, a questo punto, sarebbe stata un’intesa tecnica, a scadenza, tra Cinque Stelle e centrodestra.
Cercavo realisticamente di circoscrivere il danno, anche per i protagonisti della vicenda. Il governo che sta nascendo tra Lega e Cinque Stelle è un’avventura che ha altissime probabilità di fallimento. Prima, forse, sarebbe stato meglio provare un’altra soluzione: un governo formato dalle due forze vincenti, con una durata limitata nel tempo, senza sancire un’alleanza politica. Un esecutivo di garanzia, di sei mesi, formato da personalità autorevoli e non di partito. In carica per fare una nuova legge elettorale, consolidare il nuovo sistema bipolare ed evitare alleanze improvvisate.

Lei parla di Cinque stelle e Lega come realtà molto distanti. In realtà l’elettorato è simile.
Sì, è vero. C’è un elettorato simile che condivide il rifiuto e l’opposizione all’establishment. Ma se si osserva bene, dal punto di vista geografico e tematico, le differenze tra Lega e Cinque stelle restano molto forti. Da una parte c’è chi punta sull’identità nazionale, sul rigetto dell’immigrazione clandestina. Dall’altra chi crede in una rivoluzione sociale pauperistica, nel reddito di cittadinanza. Sono due realtà diverse.

Salvini, Meloni e Berlusconi si dividono. Stiamo assistendo alla scomparsa del centrodestra, così come l’avevamo conosciuto?
Il centrodestra è obiettivamente un cartello elettorale. Ma il dato interessante non riguarda la distanza tra i tre leader, quanto piuttosto l’omogeneità del corpo elettorale. Nel Paese esiste un popolo di centrodestra. Non esiste la mediazione al vertice, i leader e i partiti del centrodestra hanno finalità e obiettivi diversi. Ma la base è la stessa.

«L’Italia in mano ai populisti? C’erano gli stessi timori quando Silvio Berlusconi andò al governo la prima volta. Piuttosto mi preoccupa il curriculum disarmante di certi protagonisti. Penso ai Cinque Stelle. Passare dallo stadio San Paolo a Palazzo Chigi sarà dura, durissima»

Angelino Alfano, Gianfranco Fini, Raffaele Fitto. Sono numerosi gli alleati che, nel tempo, hanno abbandonato il Cavaliere. Il leghista Salvini è solo l’ultimo della lista. Forse è anche il solo che avrà successo?
Innanzitutto Salvini si sta muovendo con realismo e cautela. In questi giorni, nonostante la tentazione, non ha mai cercato lo strappo con Berlusconi. Da questo punto di vista ha assunto una posizione più ragionevole rispetto agli altri ex alleati. Non dimentichiamo che alcuni di loro erano privi di consenso popolare. Salvini, invece, ha un radicamento reale, che sta persino aumentando nel Sud Italia.

Intanto Berlusconi fa un passo di lato e concede al nuovo governo la sua “astensione benevola”. Secondo lei il Cavaliere ha fatto bene?
Dal suo punto di vista ha fatto benissimo, è stata una scelta accorta. Ha offerto un’immagine di continuità del centrodestra, si è garantito un atteggiamento non ostile da parte del nuovo governo e probabilmente influenzerà la scelta di alcuni ministri. Senza dimenticare che ha salvato il partito in caduta libera da un’imminente competizione elettorale. E chissà che presto, quando più gli converrà, non prenda le distanze da questo esecutivo.

Non crede che Salvini sia stato troppo frettoloso? Il leader della Lega poteva attendere il voto, presentarsi alle elezioni alla guida del centrodestra, magari diventare premier con una maggioranza parlamentare più solida.
Con i sondaggi che aveva in mano, non c’è dubbio che per Salvini sarebbe stato più conveniente andare subito al voto. Ma forse il leader della Lega ha percepito un ostacolo. Ha capito che in ogni caso non si sarebbe tornati presto ad elezioni. Si è accorto dell’ostilità di un Parlamento appena eletto che probabilmente, pur di evitare le urne, avrebbe votato la fiducia anche al governo neutrale proposto dal presidente della Repubblica. Ha avvertito che la partita gli sarebbe sfuggita di mano e allora ha deciso di cavalcare la situazione. Ma come ho già detto, credo che per Salvini sarebbe stato meglio cavalcarla con un governo formato da figure di garanzia. Senza bruciare la Lega in un’alleanza politica con i Cinque Stelle.

Il programma del governo che sta per nascere è ambizioso. Reddito di cittadinanza, flat tax, abolizione della legge Fornero, respingimento dell’immigrazione clandestina. Forse un po’ troppo ambizioso?
La mia impressione, e il mio timore, è che sia un programma a somma zero. Ognuno tirerà dalla propria parte e alla fine non si farà niente. È la stessa idea che rassicura l’establishment. Se i due protagonisti si fanno la guerra, uno spinge per la flat tax e uno per il reddito di cittadinanza, alla fine non si realizzerà nulla. E credo che sia questa l’ipotesi più probabile. Anche perché per approvare tutte queste riforme servirebbe governo di legislatura e una squadra di ministri che al momento non si riesce neppure a immaginare.

L’Italia rischia di essere il primo paese tra fondatori dell’Unione Europea in mano a un governo populista. Molti non nascondono i propri timori, lei che idea si è fatto?
C’erano le stesse preoccupazioni quando Silvio Berlusconi andò al governo la prima volta. Da questo punto di vista, evidentemente, siamo un Paese all’avanguardia. È un’esperienza che abbiamo già provato. Non ho grandi timori, piuttosto mi preoccupa il curriculum disarmante di certi protagonisti. Penso ai Cinque Stelle. Passare dallo stadio San Paolo a Palazzo Chigi sarà dura, durissima. Solo un miracolo ci potrà salvare.

 

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