Di Rododak
L’economista Luigi Zingales mette in rilievo su Foreign Policy come la decisione del presidente Mattarella di bloccare un governo appoggiato da una maggioranza parlamentare per il timore di reazioni dei mercati fosse sbagliata dal punto di vista sia economico sia politico. In particolare, sebbene nella disamina usi gli argomenti classici della dottrina economica liberale, Zingales sottolinea come non è neanche vero che in Eurozona il giudizio sui governi sia affidato ai mercati: in realtà è affidato alla BCE, che ha il potere di influenzare i mercati, ed è un organismo che nessuno ha eletto.
di Luigi Zingales
La decisione del presidente italiano di respingere un governo eletto non ha senso né dal punto di vista economico né da quello politico.
Nel 20° secolo, quando i risultati elettorali non risultarono graditi all’élite dominante e ai suoi alleati internazionali, scesero in strada i carri armati. Nel 21° secolo la reazione è meno cruenta, ma non per questo meno aggressiva. Invece dei carri armati, viene usato il mercato delle obbligazioni.
È quello che è successo in Italia domenica scorsa, quando un governo appoggiato da una maggioranza parlamentare è stato bloccato dal presidente della Repubblica, per il timore di come il mercato obbligazionario avrebbe potuto reagire alla nomina dell’ex dirigente della Banca d’Italia, Paolo Savona, di ottantuno anni, designato come ministro dell’Economia. (Per fare totale chiarezza: si è sparsa la voce che fossi anche io in corsa per quel ruolo, ma non mi è mai stato offerto).
La colpa di Savona? Avere sviluppato un piano di emergenza per l’uscita dall’euro, nel caso che questa avvenisse. È come se il presidente degli Stati Uniti licenziasse un ministro della Difesa perché appronta un piano di emergenza in caso di guerra nucleare con la Corea del Nord. Al contrario, entrambi avrebbero dovuto invece essere elogiati per la loro previdenza.
Ma ammettiamo pure che il presidente italiano avesse ragione, e che la nomina di Savona potesse scatenare il panico nel fragile mercato obbligazionario italiano. Allo stesso modo, ammettiamo pure che la Costituzione gli desse il diritto di farlo. Sarebbe stata una buona scelta? È giusto che la paura dei mercati annulli il processo decisionale democratico?
Agli economisti (me compreso) generalmente piace l’efficienza dei mercati nell’allocazione delle risorse. I buoni economisti, tuttavia, sanno che, per funzionare correttamente, i mercati dovrebbero operare in regime di piena concorrenza e che gli operatori sul mercato dovrebbero essere informati in modo simmetrico. Il mercato del debito sovrano in Europa non soddisfa nessuna delle due condizioni. In un mercato concorrenziale, ogni singolo attore dovrebbe essere un price-taker, ovvero la sua attività di scambio non dovrebbe avere alcun impatto sui prezzi di mercato.
E invece, per sua stessa ammissione, la Banca centrale europea (BCE) ha un impatto sui prezzi di mercato. In caso contrario, perché si impegna nell’acquisto di obbligazioni sovrane per ridurne il rendimento, pratica nota come quantitative easing? Di conseguenza, il mercato obbligazionario europeo non si muove più in base al risultato delle decisioni di migliaia di operatori indipendenti; è diventato un “concorso di bellezza”, in cui si cerca di anticipare la prossima decisione della BCE. In un simile mercato, la dichiarazione di un membro della BCE che il quantitative easing dovrebbe concludersi prima del previsto (come ha fatto martedì Sabine Lautenschläger, membro del comitato esecutivo della BCE) può essere sufficiente per creare timore e aumentare lo spread tra obbligazioni italiane e tedesche.
È saggio vincolare le decisioni politiche di qualsiasi altro paese ai capricci di un simile mercato? Il presidente italiano, evidentemente, lo pensa. Ma farlo è pericoloso: sia dal punto di vista economico sia politico.
È pericoloso dal punto di vista economico, perché gli economisti preparati sanno che il mercato delle obbligazioni sovrane può avere più punti di equilibrio. Di conseguenza, quando il rapporto tra debito e PIL è alto, è sufficiente che si sparga una voce per spostare il mercato obbligazionario da un punto di equilibrio a un altro, con il rischio di default. In generale, questa eventualità è impedita dalla banca centrale nazionale. Quando è stata creata la BCE, tuttavia, i meccanismi necessari a una banca centrale non furono previsti appositamente, con lo scopo di lasciare ai mercati l’imposizione di un vincolo disciplinare ai paesi membri. Ma questa è stata una decisione cattiva dal punto di vista economico, che ha reso obbligatorio che la BCE alla fine fosse costretta a intervenire attivamente. Il risultato per gli stati membri è che non sono stati disciplinati da un mercato adeguatamente funzionante, ma dalla BCE – un’istituzione composta da individui che, anche se animati dalle migliori intenzioni, possono sbagliare.
Il che ci porta ai pericoli dal punto di vista politico. Qualsiasi sistema istituzionale che attribuisca a un organismo non eletto come la BCE un ruolo prevalente rispetto agli organismi eletti, senza controllo, solleva seri problemi di legittimità. Immaginiamo l’ipotesi in cui il commento di un dirigente della BCE tedesco scateni involontariamente una crisi sul mercato obbligazionario italiano, che costringa l’Italia a ricorrere a un programma del Meccanismo europeo di stabilità-Fondo monetario internazionale. Che tipo di legittimità politica avrebbe un simile risultato in Italia? Anche un paese meno affascinato da poco plausibili teorie complottiste comincerebbe a sospettare una trama tedesca. Questo sospetto diventerebbe poi certezza se un commissario europeo tedesco dichiarasse che i mercati finanziari insegneranno agli italiani a non votare per i populisti. Fortunatamente, quest’ultimo punto è ipotetico, ma non troppo: il commissario europeo alle Finanze Günther Oettinger ha dichiarato che sperava che “lo sviluppo negativo dei mercati” fornisse “agli elettori un segnale di non votare per i populisti di destra o di sinistra”.
Sto negando il diritto dei partner europei degli italiani di essere preoccupati per il bilancio pieno di promesse (e nessuna misura per pagarle) concordato dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega? Assolutamente no. Mi associo anche alle preoccupazioni espresse dall’economista tedesco Hans-Werner Sinn sul cosiddetto debito Target2 che l’Italia sta accumulando nel sistema dell’euro: debito che è il risultato di un maggior numero di investitori stranieri che vendono obbligazioni italiane piuttosto che acquistarle.
Entrambe le preoccupazioni, tuttavia, riflettono gli errori di concezione fondamentali dell’euro. Lo Stato dell’Indiana non si preoccupa di quanto è spendaccione lo Stato dell’Illinois, né del debito che la Federal Reserve Bank di Chicago accumula con la Federal Reserve centrale. L’Illinois è libero di scegliere i suoi governatori senza interferenze dell’Indiana (anche se alcuni conservatori fiscali preferirebbero diversamente), proprio come lo Stato dell’Illinois è libero di fare default senza trascinare con sé tutte le sue banche locali e l’intera economia locale. Il motivo è che ci sono sufficienti istituzioni federali, dall’assicurazione contro la disoccupazione all’assicurazione sui depositi, per assorbire lo shock. E c’è un’autorità politica comune – in particolare, il Congresso degli Stati Uniti, in cui gli Stati più piccoli sono in proporzione più rappresentati – per risolvere eventuali controversie che potrebbero sorgere.
Le tensioni politiche in Europa non sono quindi inevitabili. La moneta comune europea, tuttavia, è stata creata prima delle istituzioni necessarie per sostenerla. La speranza – formulata esplicitamente da alcuni politici italiani – era che una crisi alla fine avrebbe accelerato la creazione di queste istituzioni. Ma quasi vent’anni dopo l’introduzione dell’euro e dieci anni dopo una crisi economica di quelle che si scatenano una volta in un secolo, i progressi verso la creazione di queste istituzioni in Europa sono stati minimi.
Molti europei non sono d’accordo. Considerano incoraggianti i progressi dell’ultimo decennio, soprattutto se confrontati con la totale immobilità dei primi dieci anni dell’euro. Certo, per chi vive all’ultimo piano la costruzione di una pompa per drenare l’acqua non appare urgente come per chi vive in cantina. L’Italia, in Europa, vive in cantina: e sta affogando.
Nessun governo italiano può riformare l’Eurozona da solo. Eppure le riforme non si faranno, se non ci si prova. Il presidente francese Emmanuel Macron sembra disposto a spendere un po’ di capitale politico per promuovere una riforma della zona euro, ma ha bisogno di un alleato in Italia – la terza maggiore economia dell’area economica – per renderla una priorità. Questo sarebbe il principale vantaggio di una coalizione tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega. Entrambe le parti hanno promesso di combattere per le riforme in Europa – una promessa su cui scommettono il loro futuro politico.
Piuttosto che criminalizzare le richieste di aiuto, l’Europa dovrebbe rimboccarsi le maniche e proporre un piano per il cambiamento. Altrimenti, non solo “il bel Paese ” – come gli italiani chiamano la nostra patria – affonderà, ma affonderà l’idea stessa che nel continente si possa convivere in pace e prosperità.
(La foto di apertura è di Philippe Huguen/AFP/Getty Images)