Reintroduzione della “causale” è un ritorno al passato.

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Avv. giuslavorista Fabrizio Daverio (in foto): nei contratti a termine la reintroduzione della “causale” è un ritorno al passato. Riforma obsoleta, ostacolo per le aziende, fonte di possibili contenziosi e rischio occupazione.

MILANO  – Il “Decreto Dignità” messo a punto dal Governo contiene anche un capitolo dedicato al lavoro a termine, che di fatto reintroduce la “causale” usata in passato ed eliminata dalla riforma Renzi/Poletti del 2014. L’azienda, quindi, è tenuta nuovamente a fornire, ad esempio per il “rinnovo”, le motivazioni per l’impiego di lavoratori a termine, con evidenti complicazioni e disagi a livello organizzativo.

Secondo l’Avvocato Fabrizio Daverio, socio fondatore dello Studio legale Daverio & Florio, specializzato nel Diritto del Lavoro e nel Diritto della Previdenza Sociale, “la controriforma del lavoro a termine è un grave errore, perché il lavoro a termine non è precario, ma è l’anticamera della stabile occupazione.”

“L’obiettivo di ridurre il precariato è di per sé lodevole, ma la strada scelta è sbagliata, e soprattutto la tecnica delle “causali” anni ’60, per le quali il lavoro a termine vale solo per circostanze straordinarie ed eccezionali, da specificare, è pericolosa.”

Sempre secondo l’Avv. Daverio: “Si tratta di un ritorno al passato. L’esperienza storica ha dimostrato che le “causali” sono un grande ostacolo per le aziende e una fonte di contenziosi e di grovigli inestricabili, oltre ad essere un’opzione obsoleta. Il contratto a termine produce lavoro vero, che sfocia per lo più, da solo, nella stabilizzazione.”

“Il vizio di fondo è quindi concettuale. Non si può ingabbiare il lavoro a termine, essenziale per un’economia contemporanea. Le aziende ricorrono ai contratti a termine per evidenti ragioni di flessibilità, quando ritengono che determinate posizioni lavorative non siano (ancora) stabili. Imporre una motivazione specifica risulta, nei fatti, artificioso e irrealistico”.

“Inoltre – conclude l’Avv. Daverio – l’inserimento delle motivazioni apre la via a contenziosi successivi davanti alla Magistratura del lavoro, e il timore è che ancora una volta “sorgeranno liti sulle parole più che sui fatti”.

Roberto Grattagliano

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