Una sentenza che fa discutere

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Nella sentenza 32462 della Corte di Cassazione si legge che “l’assunzione volontaria dell’alcool esclude la sussistenza dell’aggravante, […] l’uso delle sostanze alcoliche deve essere quindi necessariamente strumentale alla violenza sessuale. Dunque se la vittima si è ubriacata volontariamente ed ha subito uno stupro, non ha l’aggravante del ricorso a sostanze alcoliche. Questa decisione non può che peggiorare la condizione di chi subisce una violenza fisica, già vessata dal peso eterno di aver avuto una simile esperienza.

Tali parole non possono essere state che elaborate da uomini, figli di una società maschilista che non potrà mai capire cosa può provare una vittima di abusi sessuali. Una società che minimizza il comportamento di chi usa la violenza, impiegata come strumento di dominio, su chi spesso non è in grado di esercitare pienamente la sua razionalità, ma non per questo legittimato a subire simili situazioni. Una società che copre chi sfrutta la propria condizione sociale, economica e lavorativa per usare il proprio potere per avere ciò che desidera, anche contro il volere dell’interessato.

Questa sentenza fa fare un passo indietro al panorama legislativo italiano in materia, forse perché ancorata ad una concezione tradizionale che vede la donna prima di tutto come la madre che deve dare il buon esempio; in questo senso tutto ciò che è estraneo al suo ruolo biologico la sminuisce e quasi la ‘legittima’ a subire determinate situazioni. Il passo ancora più indietro lo fa chi non commenta questa decisione, chi pensa che sia adeguata, o chi semplicemente ritiene che non sia importante interessarsi ad una simile questione.

Sul corpo e sulla vita delle donne la cultura, soprattutto quella giuridica, non avanza di un passo, anzi. La sentenza della Cassazione ci porta in dietro di decenni” così commenta Alessia Rotta, vicepresidente vicaria del Partito Democratico. Un pensiero che ben riflette il problema principale della sentenza: il tema della violenza viene affrontato sempre con troppa leggerezza, pressappochismo e forse poca consapevolezza. Una consapevolezza che manca perché si è immersi in una società totalmente predominata dalla ‘potenza’ della figura maschile che delegittima l’ingegno, le potenzialità e l’apporto delle donne sia a livello lavorativo che della vita quotidiana. Questo simile atteggiamento non può che essere confermato a livello pratico da una delle più basse percentuali in Europa di donne che occupano ruoli di medio-alto livello; esse sono spesso altamente formate ma più precarie e meno pagate degli uomini. Donne che vengono scoraggiate a divenire madri poiché licenziate in seguito alla notizia della gravidanza, oppure che non riacquistano il lavoro dopo il parto poiché già sostituite durante la maternità; donne che ai colloqui di lavoro vengono scartate solo perché vorrebbero avere una famiglia. Queste sono solo alcune delle violenze che la donna deve subire, colpevolizzata solo dal fatto di essere tale, di non essere nata uomo.

In un clima dalle così ‘Non pari opportunità’, le istituzioni dovrebbero tutelare il genere femminile proprio a causa di una mentalità che le vedrebbe occupare un ruolo inferiore rispetto ad un uomo; tuttavia questa sentenza ci dimostra come la civiltà non sempre vada avanti, ma come, alle volte, ci faccia fare molti passi indietro.                                                                          

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