Venezuela, ancora dubbi sull’attentato a Nicolas Maduro

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Di Riccardo Licciardi

Le immagini del presidente venezuelano Nicolás Maduro, vittima lo scorso sabato 4 agosto di un presunto attacco attraverso droni, hanno fatto il giro del mondo in poche ore e sono state al centro di un acceso dibattito negli scorsi giorni.

I fatti “incriminati” si sono svolti durante l’81esimo anniversario della fondazione della Guardia Nacional Bolivariana (GNB). Durante la fase conclusiva della cerimonia, nel pomeriggio venezuelano, il plenipotenziario di Caracas stava tenendo davanti alla folla di militari e sostenitori politici il proprio discorso. Alle 17:41, Maduro veniva interrotto quando due droni carichi di esplosivo scoppiavano in prossimità del palco presidenziale. A seguito delle due esplosioni sarebbero rimasti feriti 7 membri della GNB, ma il presidente Maduro e gli altri membri del Governo rimanevano illesi.

In un primo momento l’esecutivo di Caracas, per voce del ministro delle comunicazioni, Jorge Rodríguez, imputava la responsabilità dell’attentato all’estrema destra venezuelana. Secondo il ministro, infatti, quest’ala, sconfitta sul piano politico nelle recenti elezioni di maggio, non avrebbe più altra alternativa che «ricorrere a pratiche criminali e brutali».

Qualche ora dopo l’accaduto, nel corso di una conferenza stampa, Maduro sosteneva la tesi della collaborazione delle fazioni di destra venezuelana con la destra colombiana e la partecipazione dello stesso presidente colombiano Juan Manuel Santos, il cui mandato sarebbe terminato di lì a breve (conclusosi ufficialmente il 6 agosto).

Il Capo di Stato venezuelano, aggiungeva, poi, che secondo le indagini svolte dai propri servizi di sicurezza gli autori dell’attentato avrebbero ricevuto finanziamenti e supporto in Florida, chiedendo apertamente la collaborazione del governo di Washington per far luce sulla vicenda.

OCI8W7q1_400x400Inoltre, nelle ore successive ai fatti, il gruppo militare ribelle Soldados de Franelas rivendicava la paternità dell’attentato attraverso il proprio account Twitter. Nel proprio tweet il gruppo sottolineava che nonostante il fallimento del proprio obiettivo, fosse stata dimostrata la vulnerabilità dell’entourage presidenziale.

Di contro, i gruppi di opposizione venezuelana ed enti stranieri si sono mostrati fermamente scettici nei confronti dell’ipotesi dell’attentato ai vertici del regime di Caracas.

Per esempio, l’agenzia di stampa americana Associated Press, ha sostenuto la versione secondo cui l’esplosione sia stata dovuta ad una fuga di gas, in base a quanto riportato da alcuni vigili del fuoco venezuelani presenti al momento dell’esplosione.

Da parte sua la coalizione di opposizione, Frente Amplio, ha ritenuto quanto successo lo scorso sabato come una mossa del governo, volta a criminalizzare i partiti dell’opposizione e a legittimare una nuova ondata di repressione contro gli esponenti della stessa sul canovaccio di quanto avvenuto in Turchia due estati fa. Come affermato dal deputato capo dell’opposizione parlamentare venezuelana, Juan Guaidò, riferendosi al recente attentato: «è chiaro che il regime lo userà direttamente per perseguitarci».

Quello che ad oggi appare certo è che dall’avvento di Maduro al potere, nell’aprile 2013, il Venezuela segue in una parabola di caos. Di fatto, una crisi inflattiva galoppante (lo scorso giugno il tasso d’inflazione annuo in Venezuela si attestava oltre il 40.000 % e potrebbe raggiungere l’1.000.000% entro l’anno), salari bassissimi, scarsezza di beni di prima necessità ed aumento della criminalità hanno spinto milioni di venezuelani a lasciare il Paese, dando vita alla cosiddetta “diaspora bolivariana”.

ecointernazionale.com

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