‘Trump segreto’ fa ancora più paura di quello conosciuto

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Il libro di Bob Woodward “Fear”, già uscito in America, descrive l’atmosfera shakesperiana della Casa Bianca, trasformatasi nel castello di Macbeth
-Funzionari e consiglieri gli remano contro per attenuare i danni derivanti dalle sue decisioni.
-Il caso delle lettere scritte, firmate e… cestinate

Di Piero Orteca

Più che paura

“Fear”, “Paura”. Fear? Per noi questo titolo va tradotto con “Terrore”. Se solo la metà di quello che c’è scritto nel libro di Bob Woodward su Donald Trump è vero, allora stiamo freschi. La Casa Bianca è diventata un manicomio, dove volano piatti ad altezza d’uomo e dove, nello Studio Ovale, si entra e si esce a seconda delle paturnie quotidiane del Presidente. Una specie di castello di Macbeth di shakesperiana memoria. Per il prestigioso giornalista Usa, il cuore del potere mondiale si è trasformato soprattutto in un caravanserraglio della politica internazionale, in cui diversi collaboratori di Trump svolgono il loro lavoro come i branchi di leoni nel Serengeti: lottano per la sopravvivenza, pronti ad azzannarsi a vicenda e a fare le scarpe allo stesso capo. D’altro canto, i recenti “scoop” sui funzionari “infedeli” e sul viceministro della Giustizia Rosenstein la dicono lunga sulla situazione esplosiva che si è creata nelle segrete stanze.

Mattone in testa

L’impressione che si ricava leggendo il “mattone” di Woodward, lanciato sulla capigliatura stroboscopica di Trump, è devastante. In pratica, il nostro destino sembra nelle mani di una sorta di Frankenstein della politica, dove sindromi, nevrosi, ossessività e un’ipertrofia dell’Io si legano a una manifesta psicolabilità di fondo. Woodward è quello che ha tirato fuori tutte le magagne del “Watergate”, affossando Richard Nixon. Non solo. È anche l’autore di una serie di best seller di successo dal titolo emblematico: Bush at War. Leggasi, per capirci, “Guerra del Golfo” (la seconda), concepita male, in modo cialtronesco, e condotta peggio. Abbiamo definito “mattone” il lavoro di Woodward non perché sia “indigeribile”, tutt’altro. Ma solo perché è un bel tomo di 480 pagine che diventa laterizio “politico”, nel senso che va a colpire dritto filato la cucurbitacea dell’ex Palazzinaro.

Il Mago di Oz

Rivelando fatti, assurdità, ossessioni, fisime e parafernalia cerebrali che sembrano usciti dal Mago di Oz. E le fonti, per la maggior parte, sono paradossalmente i più stretti collaboratori dello stesso Presidente, che fanno di tutto per rincollare i vasi cinesi che lui cerca di rompere in continuazione, sfasciando rapporti e relazioni internazionali. Un esempio per tutti è citato nelle prime pagine del libro. Trump ha l’ossessione del risparmio. Qualche volta ha pensato di depotenziare il cemento delle relazioni con la Corea del Sud, ritirando il contingente americano e lasciando l’alleato esposto con le terga allo scirocco. Dal Pentagono, al Dipartimento di Stato, dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale fino al cameriere che gli serve la colazione di mattina, tutti hanno cercato di convincerlo a evitare questa mossa. Nulla da fare. Trump ha preparato la lettera ufficiale e l’ha firmata.

L’Aquilone

Solo che non è mai partita, perché gliel’hanno nascosta. Due volte. In che modo? Siccome soffre di vuoti di memoria, non si ricordava di averla già firmata. E allora si è ripetuta la solita pantomima: riunione (urlacci), pareri nettamente opposti al suo (ma si fa “come dico io”), alzatucce di spalle, dettatura, firma e… cestino. Ergo: a codesto prezzo ci pare di capire che la diplomazia internazionale Usa, in questa fase, sia gestita da una turba di impiegati in mezze maniche nere, che scrivono, protocollano, fanno finta di spedire, ma poi scaraventano nella spazzatura. Su input, è chiaro, dei ministri che contano, come Jim Mattis alla Difesa. Funziona così? Si funziona così, quando non funziona peggio. Dal libro di Woodward si evince che la politica estera di Trump, data la scarsa memoria delle posizioni prese il giorno prima, sembra come l’Aquilone di Giovanni Pascoli: ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale e prende il vento.

Prima, aggiungiamo noi, di calare a picco non appena cambia il tempo.

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