La tristezza delle “ripartenze” secondo il poeta Fernando Acitelli

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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Dal 4 Ottobre in tutte le librerie, è possibile acquistare la nuova raccolta di poesie di Fernando Acitelli, “La tristezza delle ripartenze” (Ponte Sisto Edizioni).

Dopo il successo di 20 anni fa de “La solitudine dell’ala destra” il poeta e scrittore romano Acitelli torna con i suoi 250 sonetti dedicati ai grandi eroi del calcio mondiale, dai protagonisti contemporanei a quelli del passato.

L’abilità di Fernando Acitelli è quella di riuscire a fondere nella sua raccolta di poesie il suo amore per il calcio con la sua speciale capacità di osservazione di tutto ciò che non è visibile e che spesso e volentieri sfugge alla cronaca calcistica. Quella narrata è la storia del calcio ultramoderno con tutte le sue evoluzioni subite con l’avvento della Tecnologia attraverso i suoi protagonisti in campo.

Nei suoi componimenti lirici, Fernando Acitelli fa emergere l’Uomo con tutte le sue virtù , gesta, valori, limiti, errori.

Da “La tristezza delle ripartenze” emerge un animo sensibile, osservatore e attento ai dettagli, quello di un grande conoscitore dell’anima.

In questa interessante intervista organizzata in collaborazione con Isabella Borghese di Book Media Events, Fernando Acitelli, ci parla del suo ruolo di poeta in questa società odierna. Ci rivela il suo interesse per l’umanesimo come fonte di ispirazione per la sua scrittura e l’importanza delle “ripartenze” nel mondo del calcio e nella vita.

Com’è nata l’idea di scrivere questa raccolta poetica “La tristezza delle ripartenze”?

 Custodisco, inediti, più di mille sonetti: praticamente da quando nasce il Football fino ad oggi. Non mi sono scordato, naturalmente, dei “Padri Fondatori”. Un grande lavoro che ha visto la luce negli anni. Conoscendo bene la storia, ecco che mi spuntava in mente un ovale con ritratto e così nasceva il profilo lirico. I sonetti sgorgavano da soli ed io dovevo solamente appuntarli sul foglietto che avevo in tasca. Immancabile, accanto, il mozzicone di matita. Accadeva sempre in strada, mentre me ne andavo in giro per Roma. Sopraggiunto il primo endecasillabo iniziavo a intravedere il volto del mio calciatore e subito una strana gioia mi prendeva: ero contento per lui e subito me lo sentivo amico. Mi ricordavo di una sua azione oppure era il suo viso a spostarmi su un fondale della storia: a quel punto m’era facile agire. Se si trattava di calciatore remotissimo – inglese, austriaco, italiano – da poche righe lette oppure dal suo viso ammirato in foto seppiata, componevo il tutto. Mi riusciva ed ero felice. Più erano calciatori lontanissimi nel tempo, più sapevo poco di essi, e più sentivo il desiderio di volerli storicizzare con la Poesia. Erano quelli i calciatori più amati. Lungo il cammino per Roma poteva accadere che chiudevo due quartine in pochi metri di strada oppure che dopo i primi due endecasillabi si spegneva la luce interiore. In quest’ultimo caso sospendevo tutto e mi mettevo a camminare spensierato ma a volte anche inquieto osservando gli angoli della città, gli sguardi delle persone e ascoltando le loro frasi colorate, dolorose o stinte; insomma, m’immergevo di nuovo nelle faccende di Roma. Avrei ripreso a pensare al sonetto più tardi, sulla strada di casa. Non sempre i versi mi soddisfacevano e allora sospendevo tutto e pensavo alla vita, ne riprendevo possesso. Potevano passare molti giorni prima che definissi compiuta quella piccola biografia. Così si svolgeva la mia vita quando uscivo di casa: mai scritto un sonetto tra le mura amiche, al massimo, nel tepore di casa, potevo lavorare di cesello, limare, cambiare qualche parola, sentire se c’era quella musica che cercavo. Il titolo La tristezza delle ripartenze ha a che fare con il tempo dissolto e con i cambiamenti verificatisi. Rimango legato ad un calcio lontanissimo, quello che prevedeva il “contropiede” e non la “ripartenza”. E inoltre: ho nostalgia per il Metodo degli anni ‘30, per il  “catenaccio”, per il “libero” come ultimo uomo, per lo “stopper”, per “l’ala tattica”, insomma per il calcio all’italiana con il quale s’è vinto tutto. A sentire questo vocabolo, “ripartenze”, dunque pronunciato al plurale, sopraggiunge veramente la tristezza perché tutto è legato ad un linguaggio tecnico e ad una continua diagnostica. Perché non più “contropiede”? È forse umiliante pronunciare un simile termine? Si rischia di essere passatisti e dunque non più da Supercorso con relativi master? Tutti parlano di calcio come se fossero degli scienziati usciti da un laboratorio; tutti sono lustri, perfetti, pettinati, in riga, infarfallati, alla moda; pochi i cosiddetti trasandati; ognuno espone le proprie teorie calcistiche immergendole poi nei buoni principi, negli usurati concetti planetari. In verità li sento lontani dalla vita delle moltitudini; ecco allora che sopraggiunge la riflessione a oltranza sulla casualità e sull’assurdo. È quello il momento in cui mi devo placare e magari la scelta migliore è rimettermi in cammino. Ed è quello l’istante esatto in cui il poeta ha avvertito qualcosa. Oggi nelle frasi, nelle conversazioni s’ode quasi sempre vento: non avverto neanche un’eco lontana di dolore e la parola umanità la sento stinta.

Come definirebbe una “ripartenza”?

Nel mondo contemporaneo una “ripartenza” è come “l’assolutamente sì” e il “buona giornata”. È un linguaggio rassicurante: non si può evitare durante il commento d’una partita. Viene pronunciato da tutti e dunque “non c’è pericolo”. Si è protetti dietro il luogo comune; si è dalla parte della maggioranza, del giusto. Dicono pure: «Ha sbagliato la diagonale…» E allora tutti ad a convergere, con un linguaggio specialistico, su quella situazione di gioco come se la “diagonale” fosse un’invenzione odierna, parto dei nuovi profeti, degli esteti delle strategie difensive. In fondo, gli odierni esterni alti sono le ali d’una volta come gli esterni bassi sono i vecchi terzini. Poi si scende nell’universo del sistema di gioco: il 4-3-3, il 4-4-2, il 3-4-1-2. E allora tutti a spiegarci le tattiche, i movimenti, l’essenza della manovra ma pochi sono a dirci che senza fuoriclasse non si va da nessuna parte. Che, forse, a Sivori, a Schiaffino, a Rivera, a Cruiff, a Rivelino a Zico, a Baggio si poteva dire che posizione avrebbero dovuto tenere in campo? Escludo, naturalmente, per motivi metafisici, Pelè e Maradona. In termini più profondi, voglio dire in termini emotivi, la “ripartenza” è un momento di bilanci: dopo un convegno si dorme in albergo e si prepara la valigia per il ritorno a casa: anche quella è una “ripartenza”, ma è intima, è un bilancio sulla vita a margine d’un convegno. Una “ripartenza” da soli.

Come mai la scelta stilistica di comporre dei sonetti?

Lo stile per me è tutto. Non entro mai in polemica con nessuno proprio per una questione di stile. E inoltre: la forma è più importante del contenuto, se poi emerge anche quest’ultimo, allora la felicità è alle stelle. Il sonetto ci voleva perché il mio calcio è questo, diverso da quello di tutti gli altri. La forma chiusa è l’esatto contrario della volgarità del mondo. Il calcio lo racconto in versi ed è una gioia immensa. Tenevo un’andatura lirica anche quando curavo rubriche sui giornali. Era una voce interna che mi proibiva il linguaggio già saccheggiato, le slabbrature e il già detto. Lavoravo invece sui sentito dire, splendidi i sentito dire, su di essi si potevano fare contorsioni linguistiche meravigliose. L’ambizione era il frammento e la parola scovata negli ipogei della mente.

Ogni poesia è dedicata ad un calciatore del quale decanta le sue virtù e capacità lasciando trasparire la sua umanità… Com’è nato il suo interesse per l’uomo che si cela dietro ogni calciatore?

Mi interessa l’Uomo ed è per questo che vivo male nell’Età della Tecnica perché a comandare oggi sono i microcircuiti sempre più sofisticati, e poi le telecamere, le schedature continue, per ogni faccenda, l’esistenza racchiusa in un codice fiscale. E non più l’Uomo, il quale, ormai, è succube della Téchne. Oltre che sulle strade della vita, io l’Uomo lo cerco in un campo di calcio, almeno lì, per novanta minuti non usa il cellulare. Ma la Tecnica è ad un passo, il Var appunto, che ha mutato tutto. Una simile diavoleria altera il tempo lineare che, dunque, non è più quello che si stava dispiegando ma viene fermato, e così cambia tutto lo svolgimento della partita: in altre parole il tempo diviene duplice, quello senza interruzione e quello che riprende dopo aver visionato con il Var le immagini. Il tempo non interrotto ci avrebbe offerto altre rappresentazioni (non emetto un giudizio estetico, dico soltanto altre immagini). Dunque il tempo viene alterato. E allora la domanda è questa: un poeta può accettare che si muti il fluire del tempo di gioco e poi ne sorga un altro? Qui il concetto dell’angoscia ha un’accelerazione incredibile. Nessuno si chiede questo: vogliono la diagnostica, il referto e non più l’Uomo con i suoi errori, le sue cadute. Ma non erano meravigliose anche le sbadataggini? Commuovevano e facevano pensare, smuovevano la riflessione. Come  facilitavano i sentimenti e la scrittura! Oggi ritiriamo referti anche su un campo di calcio. È anche per questo che c’è l’urgenza (per me) del sonetto. È un velleitario assalto alla Tecnica.

C’è una poesia di “La tristezza delle ripartenze” che le è più cara rispetto alle altre e perché?

Quali sono i versi che amo di più nella raccolta? Tutti i sonetti dedicati ai vecchi allenatori, molti di essi anche ex calciatori. Li ho tutti collocati nella sezione Beati mister senza master. Il mio mondo sta lì e non intendo uscirne.

Perché la Poesia riesce a far emergere dettagli che una cronaca calcistica non riesce a  far cogliere?

Perché il poeta vero ha quello che i telecronisti, gli opinionisti non possono avere, vale a dire il dolore. È con il dolore ed il nulla davanti ad ogni istante che si cerca la crepa, la fessura, la disperazione, il senso nascosto del Tutto. Il poeta vero non rimanda mai la sentenza ultima che lo accompagna dall’alba al tramonto senza neppure una pausa durante il buio. Lo stato d’animo è quello d’una chiesa deserta all’imbrunire, la sera di Vigilia. O anche, di notte, le scheggiature sull’orlo del Foro romano. M’ostino ad avvistare queste esilità in ogni cantuccio di mondo e dunque anche su un campo di calcio. È proprio nel dettaglio, nella smagliatura, nel “non detto” di qualcuno che il poeta vero sogna tutto. Ecco, con questi affreschi egli si puntella, si risarcisce e fa dono del sublime. Ma quanto è fragile la felicità d’un poeta!…

Quanto è cresciuto artisticamente da “La solitudine dell’ala destra” a “La tristezza delle ripartenze”

Non sono cresciuto dal punto di vista artistico: sono quello che già ero. Certe fantasie de La solitudine dell’ala destra le trovo meravigliose anche oggi. Alcune di quelle poesie mi conducono dritto alle lacrime. Oggi non le saprei scrivere così pure. La poesia in arrivo la sento con più ritardo rispetto a prima ma sono, forse, più scaltro. Posso anche non appuntare un verso, e rimandare simile azione. Tutto questo prima non succedeva e mi precipitavo a scrivere il verso che mi aveva smosso il sorriso di dentro. Mi manca tanto l’ingenuità buona d’una volta.

Secondo lei qual’ è il ruolo del poeta nella società odierna?

Nell’Età della Tecnica il poeta pare in fuorigioco: è sempre al di là della linea immaginaria descritta dagli esterni bassi e dai centrali difensivi. Non credo possa incidere sulla vita e sulle questioni cruciali. Se una volta egli poteva rappresentare la testimonianza d’un cambiamento epocale, oggi quel ruolo è riservato alla velocità feroce della Téchne, e dunque video, convention planetarie, indistinzione. La salvezza è starsene al riparo e pensare che abbia ancora un valore scrivere poesie con mozziconi di matita: scrivere per sé. È più poeta quando si reca a far la spesa o ad una riunione di condominio che quando vuole parlare di sé, straparlare, mostrare gli inediti e i cosiddetti versi ritrovati. Un poeta che attraversa Roma a piedi è contento come un bambino alle giostre. Si stupisce ancora, ma è tutto per sé.

Perché il lettore de IlCorriereNazionale.net dovrebbe leggere “La tristezza delle ripartenze”?

Non c’è nessuna ragione perché il lettore de Il Corriere Nazionale. net debba leggere il mio libro. Un testo si acquista quando c’è una disarmonia nell’animo, quando si ritiene che quel poeta, quello scrittore, quel filosofo possano migliorare anche soltanto un pomeriggio; altrimenti è meglio che si spendano i soldi in modo diverso. Mai consigliati i miei libri, neppure agli amici d’infanzia. Sono stati loro, anzi, che mi hanno poi mostrato il libro appena acquistato. Ma ci abbracciamo tutti i giorni… I libri devono essere presi dallo scaffale della libreria quando sono riconosciuti. Io sono felice d’aver posto in salvo quei calciatori che contribuirono a migliorarmi molti pomeriggi con una giocata magistrale, un dribbling favoloso, un litigio, un’inzuccata di testa a tempo scaduto. Se qualcuno ritiene che il mio poetare possa essergli utile, sono contento.

Progetti futuri di Fernando Acitelli…

Ho scritto tanto. Sono “quasi” inedito come romanzi. Prima di uscire dalla Letteratura vorrei che almeno i romanzi fossero pubblicati. Quanto ai sonetti rimasti nel cassetto, prima o poi scenderanno in campo: ho ancora tanti eroi da porre in luce, da mandare in gol con i versi.

Mariangela Cutrone

 

 

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