Apartheid alla Telecom di Acilia

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Levataccia prima dell’alba, circa un’ora trascorsa nei mezzi pubblici a Roma, e alla stazione di Acilia il consulente informatico che lavora alla Telecom, si accinge a salire sulla navetta che lo porterà alla sede in via di Macchia Palocco. Illusione, giacché gli si para davanti l’autista dell’autobus che gli chiede se è dipendente della Telecom, e poiché il consulente lavora alla Telecom ma non è dipendente della Telecom, non può salire sulla navetta, anche se ci sono posti vuoti. Non può salire. Alla Telecom si pratica l’apartheid, non nei confronti delle persone di colore, il colore della pelle non ha importanza, nei confronti dei lavoratori che lavorano alla Telecom, ma non sono dipendenti della Telecom.

E così, il consulente, dopo la levataccia, dopo la metro, dopo il treno, è costretto ad aspettare un altro mezzo pubblico: l’autobus che passa ogni venti minuti, se non salta la corsa come alle volte accade, e che non va direttamente alla Telecom, ma deve percorrere le strade di Acilia e procedere lentamente giacché le strade di Acilia, riguardo a buche, fanno una concorrenza spietata alle strade della Capitale.

E come se non bastasse l’autobus Atac ha le fermate ad una considerevole distanza dalla Telecom, così che i consulenti sono costretti a camminare sul ciglio della strada senza marciapiedi, tra le erbacce che crescono rigogliose, e il rischio continuo d’essere investiti dalle macchine.

Renato Pierri

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