Nuova via della seta, perché se ne parla

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Prima l’articolo del Financial Times, poi l’avvertimento degli Usa. Il memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla ‘Belt and Road Initiative‘, la nuova Via della Seta voluta da Pechino per connettere Asia, Europa e Africa, ha sollevato un polverone di polemiche visto che l’Italia sta per diventare il primo paese del G7 ad appoggiare formalmente la spinta all’investimento globale della Cina.

La bufera, nei giorni scorsi, ha investito un po’ tutti. Mentre il ministro dell’Economia Giovanni Tria minimizza (“è una tempesta in un bicchier d’acqua”) il premier Conte assicura l’adesione “con tutte le cautele” smentendo il rischio di “colonizzazione” paventato da Salvini. La firma del memorandum dovrebbe avvenire la settimana prossima, durante la visita a Roma del presidente cinese Xi Jinping in calendario il 21, 22 e 23 marzo. Ma cos’è la BRI (Belt and Road Initiative) e perché se ne parla?

COS’E’ – Il mastodontico progetto della ‘Nuova Via della seta’, proposta da Pechino sin dal 2013, mira a ridefinire il sistema di rapporti economici e politici a livello globale. La Belt & Road Initiative prevede, sin dall’inizio, la creazione di due corridoi – uno marittimo e uno terrestre – con l’obiettivo di trasformare la Cina nel perno di una rete di collegamenti estesa tra Europa, Africa Orientale e Estremo Oriente.

Per la realizzazione della rete, che dovrebbe snodarsi attraverso imprescindibili infrastrutture e nodi nevralgici, sono stati stanziati già oltre 100 miliardi. Come ha riassunto la Banca Mondiale, il progetto mira a rafforzare i collegamenti infrastrutturali, commerciali e di investimento tra la Cina e altri 65 paesi che rappresentano collettivamente oltre il 30% del Pil globale, il 62% della popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute.

L’asse principale è rappresentato dalla Silk Road Economic Belt, la ‘via della seta’ che collega la Cina all’Asia centrale e meridionale e si spinge verso l’Europa. L’altra direttrice è costituita dalla ‘Nuova via della seta marittima’, che collega la Cina alle nazioni del sudest asiatico, ai paesi del Golfo, al Nord Africa e all’Europa. Per completare il quadro, altri sei corridoi economici sono stati individuati.

Mentre in Europa i cinesi hanno messo gli occhi sui porti di Valencia e Rotterdam non è da sottovalutare il possibile ruolo di Trieste e Genova. Soprattutto il primo – vincendo la concorrenza di Capodistria – offrirebbe alle aziende cinesi una porta aperta sui Balcani e sulla Mitteleuropa.

PERCHE’ SE NE DISCUTE – L’adesione al protocollo, secondo il Financial Times, comprometterebbe la pressione degli Stati Uniti nei confronti della Cina per il commercio e rischierebbe di danneggiare il tentativo di Bruxelles di trovare un percorso comune nell’Ue per gestire gli investimenti cinesi. Per Washington l’obiettivo di Pechino non sarebbe economico ma geopolitico.

Niente preoccupazioni, invece, da Bruxelles sul fatto che la firma del memorandum possa ridurre il potere negoziale dell’Ue nei confronti della Cina. Gli Stati membri dell’Unione Europea, Italia inclusa, “non possono negoziare alcunché che sia in contrasto con il diritto Ue, quindi non abbiamo particolari preoccupazioni sul fatto” ha spiegato un alto funzionario Ue. In totale sono 13 i Paesi europei che hanno firmato memorandum d’intesa con la Cina. Accordi che non destano preoccupazioni, perché contengono rassicurazioni sul rispetto delle norme Ue.

Il primo ministro Giuseppe Conte ha comunque assicurato che l’iniziativa cinese “è una scelta di natura squisitamente economico commerciale, perfettamente compatibile con la nostra collocazione nell’Alleanza atlantica e nel Sistema integrato europeo”. Rassicurazioni sono arrivate anche dal Quirinale che ritiene il memorandum “molto meno pregnante di documenti analoghi stipulati da altri Paesi europei”.

L’UOMO CHIAVE – Figura cruciale del perno tra Roma e Pechino è Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo economico con deleghe al commercio estero. Geraci ha guidato l’avvio di una task force governativa ad agosto per promuovere le relazioni sino-italiane e, in un post pubblicato un anno fa su un blog, ha sostenuto che la Cina potrebbe risolvere molti dei problemi dell’Italia nel prossimo decennio, attraverso un maggiore impatto sulla crescita che calmerebbe i timori del mercato sul debito italiano e coprirebbe una caduta degli investimenti esteri. Secondo il sottosegretario, la Cina potrebbe anche contribuire a contenere il flusso migratorio illegale dall’Africa e sostenere le questioni di sicurezza in Italia.

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