Perché il Tar del Lazio interviene su tutto. Lo spiega il presidente uscente

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Intervista all’Agi, traccia un bilancio conclusivo della sua attività in un periodo di attacchi, spesso violentissimi, che ne hanno persino sollecitato l’abolizione

 
intervista carmine volpe tar
Luigi Narici / AGF 
 

Ha presieduto il Tar del Lazio per quasi quattro anni, cercando di far fronte alle croniche carenze di organico del personale di magistratura e di quello amministrativo e ‘proteggendo’ l’istituzione dagli attacchi mediatici, spesso violentissimi, che ne hanno persino sollecitato l’abolizione.

Carmine Volpe, da lunedì, tornerà al Consiglio di Stato per guidare la sezione consultiva per gli atti normativi e, in una intervista all’Agi, traccia un bilancio conclusivo della sua attività come presidente del Tar del Lazio, la più lunga come durata dopo quelle di Osvaldo Tozzi (9 anni a partire dal 1974, quando cioè il tribunale ha cominciato a funzionare) e di Mario Egidio Schinaia (10 anni).

Presidente Volpe, che tipo di esperienza è stata la sua?

“È stata un’esperienza professionale di indubbio arricchimento e anche di soddisfazioni. La presidenza del Tar del Lazio è un osservatorio privilegiato nell’ambito della giustizia amministrativa, per la sua completezza e il suo coinvolgimento. Ma nello stesso tempo è stata un’esperienza molto impegnativa. Ne ho dato menzione nelle quattro inaugurazioni dell’anno giudiziario e nelle relative relazioni”.

Quali problemi ha dovuto affrontare in questo quadriennio?

“Problemi diversi e continuativi: l’iniziale riordino delle materie di competenza delle sezioni; l’entrata a pieno regime del processo amministrativo telematico; la costituzione degli uffici per il processo amministrativo; le carenze in organico del personale di magistratura e di quello amministrativo; l’attività di gestione e di organizzazione; le visite internazionali; gli eventi di formazione; i rapporti esterni”.

Il tutto, tra un attacco e l’altro da parte di alcuni organi di stampa.

“Attacchi pesanti, proseguiti anche in tempi recentissimi. Gli ultimi sono legati al decreto cautelare presidenziale del 14 agosto scorso che ha sospeso l’efficacia del provvedimento del Governo di divieto d’ingresso, transito e sosta della nave “Open Arms” nel mare territoriale nazionale. Cito solo alcuni titoli di articoli giornalistici: – “Il caso Open Arms. Tar e competenze troppo allargate”; – “Dalla Liguria alla Sicilia. Perché il Tar del Lazio interviene ovunque?”; – “Interviene ovunque. Il Tar del Lazio creò anche il Creatore”; – “Per di più a Ferragosto. Migranti, mai vista una risposta del Tar così rapida”.

A stupire, forse, è che il provvedimento, oltre che in piena estate, sia maturato in tempi rapidissimi.

“Ormai il giudice amministrativo ha tempi di decisione del contenzioso molto rapidi, quanto meno rispetto a quelli della giustizia ordinaria. Anche il Tar del Lazio non si sottrae a questo trend: del resto, la legge prevede riti accelerati per alcune materie ritenute sensibili (contratti pubblici, provvedimenti del Governo e delle autorità amministrative indipendenti, giudizi elettorali, nomine dei magistrati agli incarichi direttivi da parte del Csm). Tuttavia, nel caso della “Open Arms”, è stata stigmatizzata la rapidità e la tempestività della decisione presa, “nel cuore delle tradizionali ferie lunghe dei palazzi di giustizia italiani”, rispetto ai tempi di altre magistrature, quali quella francese o tedesca. Così che, allorquando viene addirittura criticata l’eccessiva tempestività delle decisioni del giudice amministrativo, sembra vivere in un mondo capovolto. Quello che dovrebbe essere un pregio, o addirittura la regola, viene considerato un difetto; è come dire, la massima efficienza è sintomo di inefficienza tanto più se, si osserva, i sistemi di giustizia di altri paesi europei non sarebbero mai arrivati a decidere così presto. Il che appare quanto meno paradossale. Il fatto è che le decisioni del giudice amministrativo incidono alcune volte su provvedimenti amministrativi espressione di scelte politiche. E allora è inevitabile l’eco che ne consegue. La decisione stessa viene usata come “arma” nella contrapposizione tra schieramenti politici. E’ lo specchio dei tempi ma anche della complessità della realtà sociale in cui viviamo”.

intervista carmine volpe tar
Tar del Lazio 
 Carmine Volpe, presidente Tar del Lazio

‘Open Arms’ a parte, l’opinione pubblica, evidentemente, non ha ben chiara la precisa competenza del Tar del Lazio.

“Deve essere chiaro un concetto. Il Tar del Lazio non è il Tar della Regione Lazio. È un organo dell’amministrazione centrale e non di quella regionale, le cui competenze sono state definite dalla legge. È vero: il Tar del Lazio ha molte competenze. Ma è il legislatore che ha voluto allargare le competenze del Tar del Lazio oltre quelle inerenti la sua circoscrizione territoriale, con riguardo ad alcune materie le quali, considerandosi preminenti le esigenze di uniformità di trattamento del contenzioso a livello nazionale, sono concentrate presso un solo giudice anziché i vari Tar locali. E allora si può criticare il legislatore nelle sue scelte ma non certo l’attuazione della legge da parte del giudice “.

Eppure, nonostante il legislatore abbia designato il Tar del Lazio come una sorta di super Tar, lei ha sempre dovuto fare i conti con pochi mezzi e poche risorse.

“In effetti, può succedere che un Tar, che da anni introita meno ricorsi di una delle tre sezioni esterne del Tar del Lazio, abbia un numero di magistrati addirittura doppio rispetto a quelli in servizio nella detta sezione. E’ invece un dato acquisito che ormai da tempo al Tar del Lazio sono presentati quasi un terzo dei ricorsi proposti davanti a tutti i giudici amministrativi di primo grado. Nel 2018 i ricorsi presentati al Tar del Lazio hanno rappresentato il 31,07% di quelli proposti davanti ai Tar. Mentre, al momento e da anni, i giudici amministrativi in servizio presso il Tar del Lazio coprono solo in parte l’organico previsto dalla legge, che resta scoperto per circa il 30%. La situazione sconta anche la lentezza con cui vengono svolte le procedure di concorso a referendario di Tar. Nel periodo, quasi quadriennale, della mia presidenza è stato portato a termine un solo concorso”.

Presidente Volpe, quali sono stati invece gli aspetti positivi di questo quadriennio?

“Malgrado il numero rilevante del contenzioso in entrata – tra l’altro in aumento nell’anno in corso – le pendenze sono in costante diminuzione. Al 31 dicembre 2015, anno del mio insediamento come presidente del Tar del Lazio, i ricorsi pendenti erano 63.178, mentre al 31 dicembre 2018 sono scesi a 53.101 e al 31 agosto 2019 a 50.822. Ricordo solo, per evidenziare l’enorme sforzo fatto nello smaltimento dell’arretrato, che i ricorsi pendenti al 31 dicembre 2009 erano 172.782. Nel 2018 il rapporto tra ricorsi definiti (16.519) e ricorsi pervenuti nell’anno (15.527) ha fatto registrare un valore di segno positivo pari a circa l’1,06. Il che significa che nell’anno vengono definiti più giudizi rispetto a quelli in entrata. Le sentenze del Tar del Lazio che rimangono definitive – perché non appellate o confermate in appello – superano negli ultimi anni abbondantemente l’80% del totale”.

In base alla sua esperienza, possiamo dire che l’attuale sistema di controllo di legittimità da parte del giudice amministrativo sull’esercizio del potere della pubblica amministrazione è efficace ed efficiente? Oppure il sistema può essere migliorato?

“Al di là dello strumentario di poteri e azioni abbastanza completo attribuito al giudice amministrativo, va detto che il sistema deve essere perfezionato, per abbreviare ulteriormente i tempi di decisione del contenzioso. Ma è evidente che il giudice amministrativo, al quale si chiede l’applicazione e l’interpretazione della legge, risente dello stato di salute del sistema normativo vigente. Esigenze di semplificazione e di certezza del diritto sono note a tutti; anzi costituiscono l’obiettivo dichiarato di alcuni recenti interventi legislativi. Ma la certezza del diritto è un valore che, nel momento attuale, è in crisi”.

Per quale motivo, secondo lei?

“La crisi può essere attribuita, in parte, a fattori patologici ascrivibili al rapido mutare della legislazione, dettato dalla necessità di fronteggiare, purtroppo sempre più spesso in via d’urgenza, fenomeni economici e sociali in continuo divenire. Si pensi alla legislazione sui contratti pubblici e a quella sull’immigrazione e la sicurezza, per citare due esempi eclatanti. Altro fattore patologico è la scarsa qualità della legislazione, dovuta sia all’intervento legislativo sempre d’urgenza e mai in modo organico e di sistema, sia a fattori di stampo politico e all’aumento del coefficiente di tecnicità delle materie da regolare. A mettere in crisi la certezza dell’ordinamento intervengono poi i fattori fisiologici dovuti all’incidenza degli ordinamenti sovranazionali e delle pronunce delle Corti europee, che si intersecano nei diversi livelli di regolazione e di giurisdizione, comportando certamente l’innalzamento del livello di tutela, ma anche una maggiore difficoltà nella ricostruzione del sistema complessivo. Il risultato è che l’incertezza del diritto aumenta il ricorso al giudice, lascia maggiore spazio all’interpretazione giurisprudenziale e non incentiva la certezza della giurisprudenza. E la mancata stabilità del quadro normativo incide sulla stabilità della giurisprudenza. È difficile pretendere certezza e stabilità nelle decisioni allorquando le norme da applicare non sono né chiare e né stabili”.

Altro problema è che spesso al giudice si chiede di intervenire laddove ci sia un vuoto normativo. Concorda?

“Sì, perché il diritto si evolve, ma più lentamente rispetto alle esigenze sociali. Così che alcune volte si pretende dal giudice una funzione di supplenza, ossia un’interpretazione evolutiva e al passo coi tempi. Tuttavia, se sistematicamente viene demandato al giudice di riempire le lacune dell’ordinamento, ossia una funzione di supplenza del legislatore, il meccanismo non regge e non funziona più, poiché quella che è un’eccezione non può diventare la regola. Il che accade anche quando al giudice si richiede di intervenire in supplenza dell’amministrazione. Non va dimenticato, poi, che la giustizia amministrativa risente dello stato di salute della pubblica amministrazione, la quale, se efficiente e funzionale, rende più semplice l’attività del giudice. Ma la pubblica amministrazione italiana è ancora lontana da parvenze di efficienza e funzionalità. Da tempo si attende una vera riforma sostanziale nella gestione della cosa pubblica. In mancanza, l’attività del giudice amministrativo diviene più onerosa e complessa, con la ricerca, alcune volte, di spazi che invece non dovrebbe avere”.

Alla fine, più contento di ritornare al Consiglio di Stato o dispiaciuto di lasciare il Tar del Lazio?

“L’uno e l’altro. Il Consiglio di Stato è un ritorno alla casa madre. Ma la presidenza del Tar del Lazio rimarrà un’esperienza unica e indelebile nella mia vita professionale”.

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