Storia di Andretti, il ‘piedone’ delle corse che Trump ‘stima moltissimo

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Dell’Italia mantiene anche la faccia, le espressioni, il talento e la simpatia per le donne (corrisposta), anche se, come ogni italiano vero, è legato strettamente ai valori della famiglia, alla moglie, ai figli. Che cura come il buon vino che produce in California e come i motori delle automobili coi quali ha un rapporto particolare da sempre. Come il fratello gemello, Aldo, che è diventato anche lui pilota, come del resto figli, nipoti e pronipoti. Tramandando una tradizione-icona, insieme alla storia di una brava persona, cordiale, aperta, sincera.

La carriera di ‘Piedone’

In Italia lo chiamavano “Piedone”, perché aveva il piede pesante, sempre bello premuto sull’acceleratore. Sin da quando, bambino, addirittura dai due anni, come racconta mamma Rita, toglieva i coperchi dalle pentole di cucina e si trascinava col fratello per i corridoi sbattendo sui muri in improbabili corse di automobilismo. A cinque anni, aveva già costruito qualcosa di più verosimile, di legno, a tredici correva già in pista ad Ancona nella Formula junior, sognando di emulare il mitico Ascari da cui era rimasto ipnotizzato nei testa a testa contro Fangio.

Cittadino Usa dal 1964, Mario ha corso in tutte le categorie possibili, a cominciare dalla formula Nascar, per continuare con le Indy, aggiudicandosi nel 1969 la 500 miglia di Indianapolis, facendosi un nome nel campionato USAC, e vincere anche nella Formula 5000. Intanto, alternandosi col circuito americano, aveva fatto capolino nella Formula 1, conquistando la pole position già al debutto, a Watkins Glen, nel 1968, con la Lotus, ed aveva iniziato la storia d’amore con la Ferrari, aggiudicandosi il Gran Premio del Sud Africa del 1971 la prima volta che guidò una Rossa.

Nei cinque anni stabili in Formula 1, entrò nella storia dell’automobilismo Usa diventando il primo ed ultimo pilota a stelle e strisce ad aggiudicarsi un Grand Prix a Long Beach nel 1977 (e tale è rimasto fino al 2018), poi conquistò il Mondiale con sei successi sulla Lotus nel ’78. Anche fu un giorno tragico: il compagno di squadra Ronnie Peterson morì la sera in ospedale per le complicazioni di un incidente in gara.

Nell’82, sostituì per due gare l’infortunato Didier Pironi alla Ferrari, e conquistò il suo momento di gloria con la casa di Maranello strappando la pole position a Monza dove finì al terzo posto, fra un tripudio di pubblico che certamente non ha ami dimenticato. Così come fu epico per lui il successo coi prototipi alle 12 ore di Sebring, in Florida, sempre con la Ferrari, lasciando al secondo posto Steve McQueen, l’attore che, come noto, aveva la passione per l’alta velocità.

Andretti ha vinto Indianapolis nel 1969, in 29 tentativi, ma ha avuto tanti incidenti e infortuni che la gara si è identificata con lui e in America l’hanno chiamata The Andretti Course. Nel ’72 ha firmato la 24 ore di Daytona. Malgrado decine di partecipazioni fra cui spicca il secondo posto nel 1995, non è mai riuscito a trionfare alla 24 ore di Le Mans, dov’ha corso l’ultima volta a 60 anni, sei stagioni dopo il ritiro ufficiale.

Quand’aveva già lasciato il testimone ai figli, Michael (anche lui campione Indy come Mario) e Jeff; col nipote John che è subentrato anche lui in pista nel 1988 e il pronipote Marco che ha debuttato nelle 500 miglia di Indianapolis nel 2006. Se dite Andretti, dite velocità, dite Mario, la sua scuderia, il suo “piedone”, la sua passione tutta italiana.

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