Il medico empatico: realtà o utopia?

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Come si immagina “il medico ideale”?  Umano ed empatico. Uno che ascolta. Uno capace di rassicurare, di dare fiducia. Uno che “ti tratta come un essere umano, non come una malattia”, che “ti spiega la situazione” e soprattutto che dice la verità. Ecco come gli adolescenti vedono il medico ideale.  Quanti desidererebbero rapportarsi col proprio medico con serenità. Spesso il rapporto medico- paziente manca di empatia. Molti pazienti sono restii nell’affidarsi al medico perché risulta freddo, cinico e privo di sensibilità

Stando a un’indagine condotta da Fondazione Giancarlo Quarta Onlus, attiva nella ricerca psico-sociale e neuroscientifica sul rapporto medico-paziente, in collaborazione con VIDAS, associazione che offre assistenza ai malati terminali, le capacità relazionali definiscono il medico ideale molto più delle competenze. La stragrande maggioranza dei 100 ragazzi intervistati, alla domanda “come dev’essere il medico ideale?”, ha sottolineato parole come fiducia, ascolto, capacità di farsi capire, di scegliere le parole giuste per comunicare la verità sulla malattia e solo in seconda battuta ha indicato competenze, studio e preparazione professionale del medico.

L’indagine esplorativa sul tema del rapporto degli adolescenti con il medico, la malattia e il corpo, è stata condotta in maniera sperimentale: prima gli operatori di Fondazione Giancarlo Quarta hanno intervistato 20 studenti di Milano, tra i 17 e i 18 anni di età, e poi questi stessi, opportunamente formati all’intervista, sono diventati “ricercatori” intervistando ognuno di loro quattro coetanei per un totale di 100 studenti.

Il progetto è stato strutturato in tre incontri – spiega Alan Pampallona, Managin Director di Fondazione Quarta – Nel primo, i ragazzi venivano intervistati singolarmente e poi in gruppo approfondivano i temi dell’intervista. Nel secondo incontro, dopo aver appreso alcuni rudimenti sulle tecniche d’intervista e i vari stili di ascolto, hanno assunto il ruolo di intervistatori di quattro loro coetanei su temi affini. Infine, in un incontro conclusivo, i ragazzi, in veste di ricercatori, esponevano quanto raccolto sul campo, e approfondivano gli argomenti di maggior interesse”.

Dalle interviste emerge che i ragazzi si mostrano molto concreti, parlano raramente di professionalità, molto più invece di esperienza maturata sul campo in riferimento alle competenze tecniche del medico modello; si informano su internet ma sembrano molto consapevoli dei limiti della rete; temono la malattia sulla base del vissuto autobiografico, in base alle esperienze di persone care, come i nonni ad esempio; sanno bene che la salute è fragile e va salvaguardata. Convinzioni espresse anche in forma di gioco, con la richiesta di associare in maniera spontanea la malattia, la salute e il medico a un animale. Così, la malattia è alternativamente infida come il ragno, la cimice, il parassita e, più spesso nelle risposte dei ragazzi, aggressiva come il leone, la tigre ma anche il coccodrillo e perfino il dinosauro.

La malattia è infida, raccontano le interviste, perché è qualcosa che non ti aspetti, aggressiva come qualcosa contro cui occorre combattere; prefigura orizzonti che sono il contrario della felicità, anche se qualcuno ammette che si può essere felici anche da malati. La salute invece è soprattutto libertà, associata ad animali come l’aquila o la farfalla, ma anche qualcosa di fragile che va tutelato in associazione ad animali come il coniglio e, ancora, qualcosa che esprime uno stato di felicità come un cagnolino che scodinzola o un pesce rosso.

E se il medico fosse un animale? Una giraffa, capace di guardare lontano con il suo lungo collo, ma anche un gufo o una civetta, associato alla sapienza di Atena, oppure come Fido, affettuoso e rassicurante. Così rassicurante da essere qualche volta un po’ fastidioso con i suoi consigli, un pungolo che per alcuni somiglia molto al ronzio insistente di una zanzara.

I ragazzi sono stati sorpresi e molto interessati a raccontare di un tema di cui generalmente non parlano tra loro o in famiglia – spiega ancora Alan Pampallona – E’ qualcosa che li ha fatti riflettere. Sebbene l’obiettivo dell’indagine fosse strettamente connesso con gli obiettivi di scuola lavoro, con risultati quindi di tipo esplorativo e non rappresentativo, la ricchezza delle risposte mostra temi importanti da approfondire. La salute negli adolescenti sembra qualcosa di scontato, eppure l’ISTAT avverte che il 20% dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni soffre di una patologia cronica. più o meno grave. Altri studi mostrano come negli adolescenti si accrescano notevolmente i tempi di latenza tra i primi sintomi di una patologia e la sua diagnosi. Anche sul piano della salute, infatti, l’adolescenza rappresenta un’età critica, una terra di mezzo, che sicuramente conviene e merita di essere esplorata”.

Mariangela Cutrone

 

 

 

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