Il declino dell’Italia raccontato ne ‘La società signorile di massa’

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Nel libro di Luca Ricolfi, pubblicato con La Nave di Teseo, il sociologo racconta il lento declino dell’Italia, che oggi gode dei fasti del passato, ma che presto potrebbero non essere più sufficienti a evitare l”argentinizzazione del Paese’

societa signorile massa ricolfi
 (Afp)
 Milano, centro storico 

L’Italia “ha un sistema economico che ha cessato di crescere fin dai primi degli anni ’90”, ma continua a vedere una sua ricchezza frutto del lavoro di due-tre generazioni utilizzati ora a tutela da figli e nipoti.

Da qui l’analisi de ‘La societa’ signorile di massa’ nel libro pubblicato con La Nave di Teseo nella collana I Fari da Luca Ricolfi, uno dei più acuti sociologi italiani, che con questo suo scritto ribalta schemi di analisi e letture di fenomeni sociali – ricchezza e povertà – che spesso non trovano il fondamento dei dati e dei cambiamenti culturali nel Terzo millennio.

Ricolfi introduce tre condizioni: il numero dei cittadini che non lavorano ha superato ampiamente i cittadini che lavorano; l’accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione; l’economia è entrata in stagnazione e la produttività è ferma da vent’anni. Da qui l’affermarsi di una nuova organizzazione sociale che vede tre capisaldi: la ricchezza accumulata dai padri, la distruzione di scuola e università, una realtà di produzione ‘para-schiavistica’ che sorregge l’attuale sistema produttivo, composto sia da immigrati che da italiani.

Nei primi anni ’90 – spiega Ricolfi – “abbastanza improvvisamente il tasso di crescita dell’Italia è diventato minore di quello degli altri paesi occidentali”, ma dal 2009 “il tasso di crescita medio quinquennale che non era mai sceso sotto dell’1%, è diventato negativo, e solo negli ultimi anni si è faticosamente riportato in prossimità dello zero”.

Con cio’ “il processo di transizione alla società signorile di massa può dirsi concluso”, siamo così entrati in un regime di stagnazione. Ora le famiglie iniziano a spendere “l’enorme ricchezza, reale e finanziaria, che – nel giro di circa mezzo secolo – è stata accumulata da due ben precise generazioni: la generazione di quelli che hanno ‘fatto la guerra’, e la mia generazione, che, anziché la guerra, “ha fatto il Sessantotto”.

Dal 1946 al 1992 il grande boom, che prepara la “Repubblica fondata sulla rendita”, che vede una crescita fondata sul reddito e non sul lavoro. Questo spalanca le porte alla “società disagiata”, tanto che l’Italia ha il primato dei neet, giovani che non studiano né lavorano, pari al 30%.

A cui si aggiunge la “condizione paraschiavistica”, quantificata da Ricolfi in circa 3 milioni di persone, in maggioranza immigrati, utilizzati per lavori sottopagati e marginali: si pensi alle persone di servizio (badanti e colf), di cui gran parte in nero, braccianti nei campi dal Nord al Sud, prostitute, in maggioranza straniere (quantificate tra 75 e 120mila) di cui il 65% opera per strada.

La “società signorile”, ricorda l’autore, si avvale di spese ingenti per droga (8 milioni di consumatori, di cui 2 milioni di quella ‘pesante’), con un esercito di 100mila pusher e un ‘fatturato’ di 15 miliardi annui e per il vizio del gioco d’azzardo spendiamo 107 miliardi di euro e 16 milioni di giocatori che investono per il gioco quasi quanto la spesa alimentare.

A questo si aggiunge che la qualità delle nostre università e scuole è agli ultimi posti a livello europeo e mondiale, cioé con i competitor con cui il confronto quotidiano sui mercati è impietoso. “Siamo – spiega Ricolfi – in definitiva un Paese che non studia, non legge e gioca. Ma sconcertante è anche il fatto che le speranze di ascesa sociale, un tempo legate allo studio e al lavoro, ora si riducano alla scommessa di bruciare le tappe dell’ascesa sociale con una puntata al gioco del Superenalotto, o con la partecipazione a un programma di quiz in tv”.

Da qui la preoccupazione perché la “società signorile” non è illimitata, in quanto la stagnazione e lo sperpero producono riduzione di rendite e di fondi. “Prima o poi – è l’allarme dell’autore – più prima che poi, la stagnazione si trasformerà in declino. Un declino lento ma sicuro, una sorta di progressiva ‘argentinizzazione’ del Paese”

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