Coronavirus, il grido d’allarme dei lavoratori trapiantati

Attualità & Cronaca

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 Riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota del Presidente dell’Aned.

Lettera del presidente di Aned a Speranza, Catalfo e Tridico:
“In 10mila costretti a casa ma senza retribuzione. Intervenga l’Inps”

MILANO – “Da ormai 10 giorni ai lavoratori che hanno subito un trapianto è di fatto posto l’obbligo di restare a casa dal lavoro, in quanto immunodepressi e dunque particolarmente a rischio infezione da coronavirus. Eppure, a differenza dei lavoratori che si trovano in quarantena per provvedimento amministrativo, non hanno alcuna garanzia circa il mantenimento della retribuzione e del loro posto di lavoro.
Naturalmente nessun problema si pone per coloro che possono lavorare da casa, considerata la possibilità del “lavoro agile”. Alcuni datori di lavoro, però, impongono le ferie e in non pochi casi i dipendenti si trovano costretti all’aspettativa non retribuita.  
E’ indispensabile una soluzione di protezione urgente da parte del Ministro e anche dell’Inps, con una comunicazione immediata e puntuale che corregga una situazione altrimenti difficile e con il passare delle ore sempre più inaccettabile”
.

A denunciare il problema è Giuseppe Vanacore, presidente di Aned, Associazione nazionale emodializzati, dialisi e trapianto – Onlus, che  in questi giorni si sta prodigando per informare correttamente tutti  pazienti nefropatici, dializzati e non, e tutti i trapiantati, per il rispetto rigoroso delle misure decise dal Governo. ANED nei giorni scorsi ha, tuttavia, scritto al Ministero della Salute, Roberto Speranza, al Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e al Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico affinché lavoratrici e lavoratori siano adeguatamente tutelati.

Ciò che ci interessa – precisa Vanacore –  è segnalare un problema che potrebbe essere sanato facilmente con una corretta comunicazione tra gli organi istituzionali e una precisa indicazione per lavoratori e datori di lavoro.
Il decreto adottato il 4 marzo dal governo, infatti, imponendo di fatto la permanenza domiciliare alle persone che hanno subito un trapianto e la conseguente impossibilità di recarsi al lavoro li paragona, di fatto, a chi si trova in quarantena disposta dall’autorità sanitaria.
Tanti medici di base positivamente hanno concesso la malattia in considerazione del rischio sanitario. Purtroppo però si registrano numerosi casi in cui l’Inps rifiuta i certificati medici prodotti dai trapiantati, come documento per giustificare l’assenza dal lavoro. Una distorsione che va sanata quanto prima: in tutta Italia i trapiantati sono circa trentamila; quelli in età da lavoro sono più di diecimila. Il trapianto sublima la morte e dona nuova vita, ma le persone trapiantate, tuttavia, per conservare l’organo trapiantato ed evitare un rigetto sono costrette ad assumere valanghe di farmaci.
Una infezione potrebbe risultare fatale. Ciò rende chiaro che una tutela mirata e di salvaguardia di lavoratori che vivono proprio grazie agli straordinari successi della medicina, e in particolare del nostro sistema sanitario pubblico universalistico, non è un lusso ma un atto di responsabilità e di doverosa solidarietà”
.

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