Cgie al Governo: Reddito di emergenza per italiani all’estero

Emigrazione & Immigrazione

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Nella fase acuta dell’emergenza sanitaria di queste settimane le nostre comunità all’estero sono colpite direttamente ovunque. Si stimano circa 100.000 rientri in Italia da tutto il mondo. Il Governo italiano deve promuovere anche politiche attive nelle varie aree di residenza. Le proposte del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

L’emergenza coronavirus ha messo a dura prova il sistema sanitario mondiale e prefigura un grave recessione dei sistemi economici e sociali di tutti i paesi. Tra questi, l’Italia risulta essere quello maggiormente colpito e, perciò, è chiamata a prevedere con largo anticipo il ritorno alla normalità e la ripresa, che si preannuncia difficile e dura e va incoraggiata con strumenti straordinari e innovativi, in forte discontinuità con quelli stratificati che l’hanno sorretta e caratterizzata nel recente passato.

L’emergenza può e deve rappresentare un’opportunità per far del nostro paese un modello di riferimento, un benchmark, nei vari ambiti di valutazione in cui si confrontano le economie e lo sviluppo sociale dei vari competitors mondiali.

CONTESTO INTERNAZIONALE

Se questi riferimenti concorrono da una parte a capire meglio perché, anche in momenti emergenziali, in alcuni paesi le risposte all’urgenza sono immediate e più efficaci rispetto ad altri, dall’altra ci aiutano a capire come risistemare i cocci quando si allenterà il blocco forzato di molti ingranaggi che fanno girare il nostro sistema Paese. L’Italia è uno dei player più avanzati su scala mondiale.

Questo ruolo le viene riconosciuto per la sua forza, le sue ricchezze e il softpower, che riesce ad esprimere facendo leva anche sulle capacità d’attrazione e promozionale degli italiani all’estero e degli italo discendenti. Gli italiani all’estero residenti in forma stabile (AIRE) sono circa 5,5 milioni, corrispondono al 10% della popolazione nazionale; a loro si aggiungono i temporanei all’estero e numerose migliaia di non regolarizzati, che sfuggono ai controlli delle anagrafi. Alcune stime riguardanti questi ultimi indicano una presenza fluida di oltre un milione e mezzo di nostri connazionali, attribuibili alla cosiddetta nuova emigrazione.

COINVOLTI I CONNAZIONALI ALL’ESTERO

Il Consiglio generale degli Italiani all’estero ha tra le sue prerogative lo studio e la rilevazione delle politiche migratorie rivolte alle nostre comunità stanziali e temporanee nonché quelle per l’internazionalizzazione del sistema paese. 

Nella fase acuta dell’emergenza sanitaria di queste settimane le nostre comunità all’estero si sono spese in soccorso dell’Italia con interventi finanziari e con materiale medico-sanitario, che in parte sono serviti per alleviare le prime esigenze di contrasto sanitario.

Gli effetti di questa epidemia, però, li coinvolge nei paesi di residenza e li mette di fronte a misure legislative restrittive, a volte drastiche come quelle assunte dal Governo italiano, e sono diverse da paese a paese. Perciò nella prima fase il nostro ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha modulato gli interventi verso l’estero dando priorità al rientro di oltre 30’000 connazionali, prevalentemente temporanei all’estero e/o turisti.

Diversa è invece la condizione dei residenti all’estero in forma stabile: per molti di loro sono plausibili i rischi di un rimpatrio forzato causato dalla chiusura di piccole e medie imprese o di autonomi, nello specifico di lavoratori interinali con qualificati profili professionali, di occupati nella filiera della gastronomia e ristorazione italiana, di manodopera stagionale e dei frontalieri.

Per questa categoria di cittadini residenti stabilmente all’estero se saranno costretti a rientrare in Italia, il nostro Paese dovrebbe prendere in considerazione, a livello nazionale, la loro integrazione nel mondo del lavoro con un intervento normativo da inserire nel piano della ripresa e dello sviluppo del nostro Paese, favorendo politiche attive al lavoro. Perciò il CGIE ritiene essenziale estendere (non aggiungere) a questi soggetti, compresi i frontalieri, rientrati in Italia per la perdita del lavoro, le indennità previste per le lavoratrici e i lavoratori italiani nelle misure contenute nei DL 9 e 18 di marzo 2020. 

LA CATEGORIE DA INSERIRE NEL PIANO ITALIA

Considerata le loro potenzialità e le capacità maturate all’estero questi dovrebbero essere inseriti nei piani di sviluppo del Paese, che passano da una prima fase di contingente e temporaneo assistenzialismo ad una seconda fase che preveda l’attivazione di percorsi di politiche attive, di avviamento ai processi produttivi e/o imprenditoriali in collaborazione con le strutture regionali dedicate sia pubbliche che private. Ciò permetterà al Paese di riequilibrare il missmatching esistente soprattutto nei settori a vocazione globale, agroalimentare, meccanica, automotive, chimica, farmaceutica, energia, moda e design, turismo e cultura, per sostenere la ripresa produttiva e il rilancio dell’economia nazionale.

Gli interventi a favore dei nostri connazionali all’estero che saranno costretti a rientrare in Italia per la perdita di lavoro dovrebbero essere sostenuti da politiche attive al mondo del lavoro e differenziarsi per area di residenza:

  • L’Unione europea e i paesi del vecchio continente, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia.
  • I paesi extra europei, America latina e centrale, Africa e Asia

Per chi rientrerà dall’Unione europea occorrerà ragionare tenendo in considerazione i diritti comunitari che regolano il mondo del lavoro. Il nostro Paese attraverso il ministro per gli affari europei, Enzo Amendola, è chiamato a far rispettare i diritti, le direttive di protezione e garanzie sociali e previdenziali comunitarie, che prevedono l’utilizzo di fondi comunitari per tutti i cittadini comunitari, anche per chi vive in un paese diverso da quello di nascita.

In questa casistica, però, non sono contemplati coloro che rappresentano il problema più grave: i non regolarizzati presso le anagrafi comunali e che, perciò, non pagando le tasse o che lavorano saltuariamente o in forma occasionale sono esclusi dalle forme di assistenza sociale. Questi ultimi costituiscono il problema: o si cerca la soluzione con il paese ospitante, oppure rientrando il Italia servirà assisterli nelle forme contenute nella decretazione di emergenza.

Per chi rientrerà dai paesi extraeuropei, invece, occorrerà un intervento mirato da parte del nostro paese, che tenga conto sia dell’integrazione nel mondo del lavoro, sia di ulteriori aspetti particolari di inserimento sociale con interventi differenziati, ma che contemplino in ogni modo il riconoscimento, seppur temporaneo degli aiuti previsti dai decreti emergenziali. 

STIMATI 100.000 RIENTRI DA TUTTO IL MONDO

Per i rientri di cittadini italiani iscritti all’Aire nei prossimi 3 – 4 mesi si stimano circa 100.000 rientri da tutto il mondo, in una composizione per paese analoga a quella rilevabile dai dati Istat di espatri degli ultimi 3 anni.

Nella fattispecie la stima fatta dal CGIE è basata sulla possibilità che vi sia una maggiore propensione al rientro da parte dei connazionali di più recente emigrazione trasferitesi negli ultimi 3-5 anni e non ancora definitivamente integrati nel tessuto socioculturale dei paesi di arrivo.

Si fa riferimento ai dati degli espatri AIRE 2017-2019 tratti dai rapporti pubblicati dalla Fondazione Migrantes

2017:   124.076

2018:   128.193

2019:   128.583

La percentuale della fascia di età 18-64 anni è pari a circa il 75%

di questi dati.

da 0-18 anni è uguale a circa il 20%

dai 64 anni in poi è pari a ca. il 5%

(Attenzione: Questi dati sono relativi ai soli cittadini italiani, cioè non comprendono il flusso di nuova emigrazione dall’Italia di immigrati nel nostro paese che a loro volta sono emigrati verso altri paesi).

I DIVERSI LIVELLI DI INTEGRAZIONE

Al contrario di coloro che vantano un maggior periodo di residenza all’estero, che presuppone livelli di integrazione maggiori e quindi di minor propensione al rientro. In questa stima vanno visti anche gli italiani residenti in paesi ad alto tasso di recessione, tra i quali il Regno Unito dove, negli ultimi anni si sono trasferiti alcune centinaia di migliaia di nuovi emigrati, impiegati maggiormente nei settori esposti ad alto rischio di chiusura delle attività. Diversamente è, invece, il caso della Germania, che nell’emergenza ha distribuito ai piccoli esercenti ed artigiani dei crediti ponte per superare le chiusure degli esercizi tipici, nei quali risultano occupati anche gli italiani, ma non la rete della ristorazione e gastronomia, e della distribuzione alimentare. Proprio in questo comparto, però, le chiusure degli esercizi sono esponenziali.

Calcolando che negli ultimi 3 anni, il flusso di nuova emigrazione registrato dall’Istat si situa tra i 145.000 e i 165.000 per un totale indicativo di circa 450.000 espatri, si ipotizza che circa un 25-30% di essi possa rientrare in Italia.

L’intervento di natura assistenziale che dovrà assumere il nuovo decreto dovrebbe essere immediatamente legato alla possibilità di poter accedere, una volta in Italia, al reddito di cittadinanza con opportune deroghe sul periodo di residenza pregresso e quindi alle successive misure di orientamento previste. Altrimenti l’arrivo di questi connazionali andrebbe oggettivamente ad aggravare la situazione di tensione sociale già presente.

FRENARE IL RIENTRO CON L’ASSISTENZA ALL’ESTERO

Quanto alla distribuzione per aree continentali può essere presa a misura percentuale la stessa ripartizione che emerge dagli stessi dati Istat sui paesi di arrivo della nuova emigrazione negli ultimi 3 anni.

Un freno di contenimento al rientro forzato di nostri connazionali può essere esercitato con la maggiorazione di fondi utilizzati dal ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, (quest’anno dotato di 6 milioni di euro) per “l’assistenza diretta e indiretta” ai nostri connazionali indigenti e in difficoltà, utilizzato dai consolati italiani per comprovati casi di necessità. Un’attenzione di questa natura costituirebbe un riconoscimento all’impegno che i Comites, le associazioni italiane e il CGIE hanno messo in campo per aiutare l’Italia.

Si richiama all’attenzione del Governo un modello che ha fatto scuola: il felice intervento del fondo di solidarietà a favore degli italiani in Argentina degli inizi di questo secolo con il quale l’Italia stipulò un’assicurazione sanitaria per i bisognosi, che non potevano pagarsi le cure e l’assistenza medica. E’uno sforzo, in questa difficile prova che sta vivendo il nostro Paese, di dignità e di solidarietà, che potrà sortire nuove forme di cooperazione per il rilancio del nostro Paese.

(Consigli Generale degli Italiani all’Estero)

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