Un tempo sospeso

Politica

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di Stefano de Luca

Stiamo vivendo un tempo che ci appare non tempo.  Infatti, normalmente esso è fare, registrare eventi, muoversi, punteggiare la vita attraverso esperienze ed avvenimenti. Invece un periodo come quello che stiamo attraversando durante la fase più esplosiva della pandemia, rappresenta una parentesi di non vita, come un tempo sospeso. Ci dedichiamo alla lettura, si, anzi forse più del solito, ma senza la medesima partecipazione emotiva, più per non soffocare nell’inedia, che per alimentare la nostra anima. Ci lasciamo ubriacare, come in uno stato di anoressia, da una mediocre TV monotematica, insignificante, incerta, vuota, di regime, che serve solo a stordirci ed a stordire.  L’attuale condizione ci fa capire chiaramente la differenza disegnata da Bergson, tra il tempo cronometrato, (asettico, esteriore) come quello che stiamo vivendo e il tempo vissuto, (intimo, consapevole) che rappresenta una sfida relazionale, sociale, politica, etica, ma principalmente esistenziale.

In questi giorni ricorre il mio compleanno. Vorrei ignorarlo, spostandolo in avanti, per cancellare questo tempo non vissuto, come coloro che hanno attraversato periodi di coma, che avrebbero il diritto di non computare quel tratto temporale in cui non è stato dato loro di vivere consapevolmente. Siamo tutti quanti, forse spesso senza accorgercene, in una sorta di coma della nostra sfera emozionale, che brucia il nostro tempo prezioso in una inutilità allarmante, la quale finisce col ridurre la nostra umanità sospesa ad un ruolo di semplice attesa, confidando nella scienza e nella fortuna.

La storia ci racconta da sempre di ricorrenti epidemie, con esiti drammatici ed intere popolazioni decimate o imperi, come quello romano, sepolti principalmente sotto le macerie prodotte da questi drammatici eventi, specialmente allora incontenibili. Anche il grande imperatore Marco Aurelio nel 180 d.C., ne fu vittima, avviando la lunga fase del dissolvimento dell’Impero d’Occidente, ed Anche Teodosio, imperatore d’Oriente, poi, non nel corso di un tentativo di riconquista, fu fermato da un’altra epidemia. Ritenevamo che nel nostro tempo presente, con i progressi straordinari della scienza medica, tutto questo fosse impossibile, o facilmente dominabile e circoscrivibile, definitivamente relegato nei libri della storia del passato, insieme alle grandi guerre. Ritenevamo che questo fosse uno dei più grandi traguardi raggiunti dal tempo attuale. Una scienza medica talmente progredita da essere in grado di proteggerci da qualunque tentativo di vendetta della natura nei confronti della dilagante modernità. Il nemico invece, ovunque in agguato, colpisce tutti e persino in luoghi e modi insospettabili. Nutriamo la certezza che la guerra sarà vinta, ma non sappiamo in quanto tempo e pagando quale prezzo a causa di un numero sempre crescente e spaventoso di morti, mentre i sopravvissuti, sbigottiti, sono obbligati a rimanere prigionieri agli arresti domiciliari. I pochi che per il loro lavoro, (medici, infermieri, tecnici) hanno ancora il diritto di muoversi, sono esposti ad un grande rischio e possono cadere, come ne sono caduti in elevata quantità. Eroi che combattono in prima linea e che dobbiamo onorare. L’esito della guerra è scontato: la scienza avrà la meglio, ma a costo di quante vittime lasciate sul terreno? Ancora la dimensione del rischio e la portata del disastro non sono calcolabili, ma neppure prevedibili, ove malauguratamente il virus dovesse penetrare pesantemente in Africa, dove non esistono strutture adeguate ed è insufficiente il personale specializzato per contenere il contagio e curarlo, rispetto agli altri continenti. Alla fine, la scienza avrà ragione del mostro, grazie anche all’elevato livello di collaborazione tra Stati, dimostrato in questi mesi. In un tempo ragionevole si dovrebbe arrivare alla scoperta ed al collaudo di un vaccino, ma al prezzo di quante decine di migliaia, o forse milioni di vite perdute e di una successiva drammatica e forse senza precedenti crisi economico finanziaria?

Al risveglio dal nostro coma esistenziale, ci troveremo di fronte un mondo impoverito, sprofondato in una crisi spaventosa, con la possibile modificazione degli equilibri mondiali ed una prospettiva di vita completamente diversa. Fino a ieri l’orizzonte era quello del progresso e del benessere generalizzato, pur con i problemi di una società che da industriale si andava trasformando in tecnologica, dei servizi e dello smart work a distanza. Non sappiamo quali potranno essere i nuovi equilibri economico finanziari ed i conseguenti rapporti di forza tra le differenti economie, come gli assetti strategici futuri. In particolare, ci chiediamo quali saranno le conseguenze sul terreno della democrazia e della tenuta delle sue fragili istituzioni, di fronte alla crescita ed alla affermazione di sistemi personalistici, autoritari, populisti, comunisti, sovranisti, neo-nazionalisti, insieme al rischio della possibile frantumazione delle democrazie liberali tradizionali ed al fallimento del tentativo di nuove aggregazioni federali continentali? Appare molto vicino il pericolo della esportazione dei modelli totalitari cinese, ottomano, trumpiano, per non parlare delle prove generali dei Cazhinsky, degli Orban, di Bolsonaro o Maduro, del sistema cubano o della maggior parte degli Stati arabi, sempre in ebollizione. Dobbiamo cominciare a rassegnarci che il mondo che abbiamo conosciuto non ci sarà più e che queste potrebbero essere le effettive, disastrose conseguenze della pandemia. Dopo tre secoli di lotte e di guerre per il trionfo delle democrazie liberali, che sembravano un modello indistruttibile, corriamo il rischio di dover ridiscutere tutto? Si fa sempre più attuale il pericolo del dissolvimento del grande sogno di un’unica Europa federale? Cosa lasceremo ai nostri figli? Dai nostri genitori avevamo ereditato macerie materiali, ma un grande entusiasmo, insieme ad un notevole sostegno americano per far crescere in Europa forti nazioni, alleate nella guerra fredda contro l’URSS, fino al trionfo della caduta del muro di Berlino. Ma fu una reale vittoria? Non abbiamo proceduto con troppa fretta ad un allargamento, che ha determinato il travisamento del legame iniziale dell’ancora fragilissima Unione Europea? Siamo in tempo per salvarla e rilanciarla così com’è, o dobbiamo prepararci ad altri dolorosi, ma forse necessari abbandoni, come quello della Gran Bretagna? Non abbiamo molto tempo e non possiamo permetterci la guerra tra poveri e semi poveri, che sembra iniziata in questi giorni. Questo è il momento di alzare il tiro e realizzare, con chi ci sta, l’Europa Federale, convergente sul piano finanziario ed economico, quindi con la dovuta solidarietà, ed un profondo ripensamento delle strutture di governo, per rafforzare e trasformare le istituzioni esistenti in modo da renderle efficienti, dissolvendo coraggiosamente e subito i legami con chi non concorda o non è all’altezza. Questi ultimi Paesi dovrebbero essere messi dinanzi all’alternativa di accettare le nuove condizioni o uscire senza indugio. Un’Europa, magari più piccola, ma federale e solidale, che finalmente, oltre ai vincoli di bilancio, possa avviare rapidamente la convergenza verso una politica tributaria unificata, un comune ordine pubblico all’interno ed alle frontiere, un esercito unificato, un’unica politica estera, l’avvio di uno spazio giuridico e giurisdizionale comune, la rapida approvazione di una Costituzione semplificata, ma efficace, in cui il Parlamento sia effettivamente il cuore del sistema, la Commissione un vero Governo con Presidente eletto direttamente dai cittadini e dove il Consiglio, come un Senato, rappresenti il secondo ramo  parlamentare. Perderemo qualcuno per strada, ma se ne avvantaggerà l’efficienza della nuova struttura europea, che deve essere sburocratizzata, agile, dinamica, un modello per il resto del mondo. Solo questo forse potrebbe salvarci. Abbiamo ancora una tradizione culturale ineguagliabile, insieme ad un apparato industriale, finanziario, organizzativo e militare, che potrebbero diventare cruciali nell’attuale fase di trasformazione.

Solo così potremo sublimare il ricordo di questi giorni terribili, facendo in modo che, anche le esperienze drammatiche, appaiano come una tappa del lungo, interminabile cammino della libertà. Ci accorgeremo tangibilmente di come persino l’orrore si possa traforare in opportunità e potrà addolcire il ricordo doloroso di tutti coloro che abbiamo perduto, attraverso la luce della speranza, come è stato sempre nella storia di questo nostro mondo. Abbiamo bisogno della consapevolezza che si è spalancata la finestra di un nuovo futuro, denso di un rinnovato entusiasmo da porgere come dono alle generazioni che verranno Con questi sentimenti celebriamo l’antico rito laico della primaverile rinascita della terra, con l’augurio di poter sodisfare il nostro disperato bisogno di un nuovo inizio..

Stefano de Luca

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