ll coronavirus si abbatte sul Pil cinese. La ripresa è in salita

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Il crollo era già stato previsto dagli analisti, e gli ultimi dati – una contrazione del 6,8% – sono ricaduti all’interno delle aspettative, ma non si è verificato un disastro completo, secondo gli economisti di Td Securities

di Eugenio Buzzetti

L’economia cinese affonda sotto i colpi dell’epidemia di coronavirus, segnando una contrazione del prodotto interno lordo del 6,8% nel primo trimestre, e alimentando i dubbi sui tempi di ripresa. Il crollo era già stato previsto dagli analisti, e i dati di oggi sono ricaduti all’interno delle aspettative, ma non si è verificato un disastro completo, secondo gli economisti di Td Securities: la produzione industriale ha registrato una contrazione inferiore alle attese e la disoccupazione è apparsa in lieve arretramento.

Dai consumi non arrivano, però, segnali apprezzabili, con una contrazione delle vendite al dettaglio del 15,8% a marzo e complessivamente del 19% nel primo trimestre. Il potenziale dell’economia cinese sul lungo termine, ha rassicurato il portavoce dell’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino, Mao Shengyong, non risentirà dell’impatto dell’epidemia, ma permangono le incertezze sul futuro.

Le attese sono ora concentrate sugli stimoli all’economia che la Cina intende mettere in atto oltre alle misure già prese. Pechino non sembra intenzionata a replicare uno scenario come quello del 2009, quando mise in campo un piano di stimoli all’economia equivalente al 16% del prodotto interno lordo di allora, mentre le misure messe in campo contro l’epidemia si aggirano intorno al 3% del pil, una percentuale inferiore a quella di altri Paesi, come la Germania (il cui piano di aiuti all’economia equivale a circa il 20% del pil). Pechino sembra avere un margine di manovra minore rispetto ad allora, e puntare sulla ripresa economica della Cina per uscire dalla peggiore crisi economica dalla Grande Depressione degli anni Trenta non sembra una strada praticabile.

L’attenzione, a Pechino, è focalizzata sui problemi interni, a cominciare dalla sorte delle piccole e medie imprese: più dell’85% di queste sono a rischio di collassare nel breve periodo senza un aiuto finanziario, in base a un sondaggio realizzato a febbraio scorso da due dei più prestigiosi atenei cinesi – l’Università di Pechino e la Tsinghua – e nonostante le prime riaperture, a marzo scorso hanno segnato, in media, un calo dei ricavi del 60% su base annua.

Secondo le ultime proiezioni del Fondo Monetario Internazionale, la Cina chiuderà l’anno con una crescita dell’1,2%, una brusca frenata rispetto ai livelli degli ultimi anni. Nonostante una previsione non particolarmente negativa, “la Cina non aiuterà la crescita dell’Asia come fece nel 2009” all’indomani della crisi finanziaria globale, secondo Chang Yong Rhee, direttore del Dipartimento Asia-Pacifico del Fmi. Allargando il campo, la situazione non appare migliorare.

“La Cina probabilmente faticherà a trovare clienti in tutto l’Occidente e i mercati emergenti altrove, semplicemente non sono abbastanza grandi per compensarlo”, è l’analisi formulata il mese scorso da Yukon Huang, senior fellow al Carnegie Asia Program, specializzato sull’economia cinese e sul suo impatto a livello globale. Difficile, in sostanza, trovare sbocchi per l’export – che conta per circa il 20% dell’economia cinese, secondo dati del 2018 della Banca Mondiale – con i principali partner commerciali di Pechino ancora in lockdown. ùA complicare lo scenario, interviene anche il cambiamento in corso nelle relazioni internazionali, spiega Raymond Yeung, chief China economist presso Australia & New Zealand Banking Group di Hong Kong, citato da Quartz. “Dopo l’epidemia, le relazioni commerciali tra la Cina e gli altri Paesi potrebbero peggiorare, mettendo Pechino ancora a più dura prova”.

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