L’Essenza della Politica è il Potere

Politica

Di

di Stefano deLuca, presidente del Partito Liberale Italiano

Se si volesse ricercare storicamente l’essenza della politica, bisognerebbe muovere dalla evidente constatazione che essa equivale alla storia del potere.

Inizialmente si trattava dell’autorità da esercitare su una famiglia a su una piccola tribù. Successivamente, la necessità di spazi più ampi e di gruppi più numerosi portò allo scontro tra popoli confinanti con il predominio di quello più forte, nelle cui mani si concentrava il potere. Così nacquero gli antichi regni, che assunsero a volte tale estensione da divenire imperi.

Non vi erano altre motivazioni alla guerra ed al dominio, se non la superiorità di una etnia o tribù sulle altre ed il sempre maggiore bisogno di espansione territoriale.

Non era necessario invocare principi o credenze di ordine superiore a quelle che derivavano dalla forza.

Si chiedeva l’aiuto degli dei con svariati riti e sacrifici, ma non si combatteva in loro nome.

Tale caratteristica ebbero l’impero Assiro-babilonese, quello di Faraoni d’Egitto, il vasto territorio delle conquiste di Alessandro Magno, l’Impero Romano, ed altrettanto potrebbe dirsi per gli altri imperi di un Oriente quasi ignorato dalla storiografia occidentale, perché nell’antichità ininfluente sulla medesima.

La prima eccezione all’antica regola venne dalla Grecia, madre della filosofia, dove cominciò a porsi la domanda su dove risiedesse il potere e se e quale finalità esso potesse e dovesse avere. Le scuole di pensiero si divisero da una parte tra un filone pragmatico, che si riconosceva nei presocratici, negli empiristi, negli atomisti, filone nel tempo confluito poi nel pensiero degli epicurei, e dall’altra in una tendenza che si sforzava di assegnare una finalità superiore alla funzione politica di stampo teocratico o metafisico, che si identificò parzialmente in Aristotele, ma principalmente nel pensiero di Platone, destinato ad aver fortuna e seguaci a lungo nel tempo e fino si giorni nostri.

Socrate volle dare con il proprio sacrificio, pur potendo evitare la condanna a morte, la risposta più forte agli ateniesi ed all’allievo che si era contrapposto al suo percorso intellettuale. L’apogeo della concezione della politica come forza fu l’Impero Romano, che abbatteva i nemici con le proprie armate invincibili, sconfiggendo persino Cartagine e, di volta in volta, le popolazioni barbariche ai propri confini verso il Nord est ed il Nord Ovest, conquistandone i territori.

Roma introdusse tuttavia, accanto alla forza, un elemento rivoluzionario, che fu l’invenzione del diritto, con la non secondaria distinzione tra lo Jus del civis romanus e quello che venne chiamato lo jus gentium.

Il potere, prima dalla res publica e dopo dall’impero, veniva corroborato quindi dal diritto, che regolava il modo di dispiegarsi del potere, giungendo fino a creare, prima l’edictum tralaticium e dopo, un corpus juris civilis, un insieme di leggi, che, a fianco del potere statale e della sua forza, regolava la vita civile del cittadino romano, non più soltanto suddito, ma titolare di diritti nel campo civile, tutelati dalla legge.

Roma inoltre seppe elaborare, in direzione di un obiettivo di concretezza, l’influenza di quella cultura filosofica, che aveva condannato la Grecia, dove era nata, alla irrilevanza politica per la frammentazione del potere tra le tante piccole polis, che non poterono mai avere la forza sufficiente a creare un Regno o un impero.

Reinterpretata da Roma, la filosofia consentì di avviare una strada in cui al potere imperiale, che sostanzialmente s’imponeva con la forza delle legioni, si affiancava il diritto, come tutela e difesa del cittadino, sostanzialmente la sua libertà, intesa secondo i canoni del tempo, inaugurando quindi la modernità.

L’inquinamento di concezioni religiose provenienti dal Medio Oriente, coniugate con il pensiero platonico, portò non solo all’indebolimento dell’Impero Romano, attraverso l’accettazione di un cristianesimo palesemente distruttore alla radice del presupposto di forza su cui poggiava l’Impero, ma capitolando definitivamente, dopo il tentativo disperato di Costantino, alcuni secoli dopo, di far convivere l’Impero col cristianesimo.

Una contraddizione che portò alla distruzione ed alla fine di quella concezione fondata sull’autorità e sulla forza di Roma, che si era affermata nel corso di quasi un millennio.

Da questo disfacimento derivò il disordine delle invasioni barbariche, la costituzione di Regni nazionali nel Continente europeo ed il riconoscimento di un potere papale di derivazione divina, oltre che temporale su un proprio territorio, principalmente fondato sull’autorità morale di poter legittimare Re ed Imperatori, che si definivano tali per diritto divino ed investitura del rappresentante di dio sulla terra, quindi lo stesso Papa.

La storia fece un grande passo indietro, non soltanto nell’aver attribuito ai sovrani un potere di origine divina, ma principalmente quello della relativa notificazione notarile al Papa, riportando i popoli, dopo le conquiste del diritto romano, verso la formazione di stati assoluti in cui i cittadini vennero declassati al rango di semplici sudditi, servi della gleba.

Dovettero passare molti secoli tra contrasti, guerre e scismi, anche importanti, come quelli del periodo della Riforma, nel tentativo di far recuperare il terreno perduto e riaffermare il ruolo del singolo. Tali fermenti rappresentarono senz’altro un passo determinante, ma tuttavia non decisivo, per avviare il cambiamento culturale successivo, lasciando molto indietro i Paesi dove la stessa Riforma non era riuscita a passare o era stata stroncata dalla Controriforma.

Il veicolo culturale che definitivamente mise in marcia il processo di modernizzatore fu l’illuminismo, sia britannico, iniziato circa un secolo prima e più pragmatico di Locke, Hume, fino a Stuart Mill molto più tardi e quello francese di Voltaire, Toqueville, Montesquieu, anche se poi declinati in modo molto diverso, ma sempre agitati da violenti episodi rivoluzionari. Le rivolte contro l’assolutismo iniziarono con quella inglese di Oliviero Cromwell, per poi esplodere nella sanguinosissima Rivoluzione francese, con la successiva fase oscura del giacobinismo e del terrore e nella rivoluzione democratica americana. 

L’Italia, divisa e sotto varie dominazioni, rimase isolata ed impermeabile alle nuove idee, tranne qualche sporadico circolo intellettuale, come quello di Cesare Beccaria a Milano. Venne versato molto sangue e sovente furono perpetrate atroci ingiustizie, principalmente nella fase della Comune di Parigi, durante la quale molti degli stessi promotori della rivoluzione finirono sotto la lama del boia, ma questo fu il prezzo altissimo pagato per dar vita definitivamente alla modernità, con l’affermazione del principio della separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Inoltre, si andò avviando un lungo processo che portò alla graduale trasformazione del potere regio, prima, per diritto divino, poi congiunto alla volontà della nazione, per giungere infine al riconoscimento che compete esclusivamente alla volontà popolare di legittimare dinastie regnanti, oppure scegliere la forma repubblicana, o persino cambiare tra tali regimi, ma ribadendo sempre il solenne riconoscimento della sovranità popolare.

Da quel momento nel mondo occidentale non si parlò più di un potere per derivazione divina e nacquero via via le democrazie moderne, regolate da Carte Costituzionali, anzi le teocrazie o le dittature, che, tornando, avevano insanguinato la prima metà del Novecento, vennero ripudiate, ancorché il loro riflesso ha finito col rimanere sempre in agguato.

Le varie forze politiche da allora cominciarono a contendersi il potere sulla base delle loro rispettive visioni, sovente di carattere ideologico o anche fideistico, dando vita a movimenti cristiani, socialisti, conservatori e, nel tempo più recente, ecologisti, mentre il pensiero liberale, inteso come metodo, si pose sempre come obiettivo il perseguimento della libertà ed il predominio della ragione. 

Le società che ne derivarono, si chiamarono pertanto Democrazie liberali.

Tale traguardo, raggiunto a costo di guerre sanguinose, di lotte e di difficili conquiste della civiltà e del progresso, sembrava essere l’approdo definitivo, almeno della civiltà occidentale, dove quel pensiero si era imposto e ne venne confermato il primato dal crollo dell’esperienza del socialismo reale dell’URSS.

Invece si va palesando sempre più chiaramente che non è così. Il liberalismo si fonda sui valori del costituzionalismo, inteso come perno fondamentale di ogni società, ma, soggetto, come ogni espressione del pensiero umano, alla usura del tempo e quindi anche a processi di revisione, sia pure con speciali procedure.

La democrazia, altro elemento essenziale, ma non esaustivo, del liberalismo, va intesa come metodo di partecipazione attraverso il suffragio universale, mentre talvolta, se non coniugata con la libertà, ha prodotto le peggiori dittature della storia, sulla base della suggestione di pericolosi demagoghi, che hanno trasformato il voto democratico in plebiscito. Il liberismo infine è un ulteriore tratto rilevante della concezione liberale della economia di mercato, senza tuttavia tornare all’egoismo del laissez faire, caratteristico di ogni forma di barbarico conservatorismo egoista, inaccettabile per una società moderna.

La supremazia dello Stato di diritto e la moderna concezione economica del liberalismo, inteso come economia sociale di mercato, garantiscono un perenne equilibrio, anche nei periodi di congiuntura negativa o di difficoltà per eventi drammatici.

Oggi, stiamo assistendo invece nel mondo intero ad una forma di regressione che tende a cancellare le grandi conquiste dell’Illuminismo  ed a produrre  nuovi autoritarismi, che vanno da quello più brutale della Cina comunista, a quello di stampo militare e burocratico della Russia, a quello neo ottomano di Erdogan, alle tante tirannie, che caratterizzano i regimi di Al Sisi in Egitto, di Bolsonaro e Maduro in Sud America, fino a quelli in Europa di Yaroslav Caczynski in Polonia o di  Viktor Orban  in Ungheria, ma fino al Trumpismo nella stessa patria della democrazia liberale, gli USA.

Tale dilagante, pericolosa tendenza trova riscontro in molteplici inclinazioni autoritarie italiane di segno diverso, declinate in forma di neocomunismo dai Cinque Stelle o in nuovo autoritarismo di destra, che sempre ritornano nel nostro Paese e che si identificano nelle leadership personali di Salvini e della Meloni.

Quello a cui oggi assistiamo nel mondo è che la democrazia tende a scadere facilmente nel populismo plebiscitario, mettendo in pericolo la stessa libertà ed esponendo ad un grande rischio le democrazie liberali occidentali.

Stefano de Luca

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