Intervista di Rosa Porro della redazione del Il Corriere Nazionale alla prof.ssa Rosalinda Cassibba, professore ordinario, Dipartimento Di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione
Il lockdown è finito si ritorna a vivere con tutte le misure necessarie per proteggerci dal COVID 19, oggi più che mai è importante prenderci anche cura della nostra salute mentale. In una situazione di questo tipo, è facile subire effetti psicologici che minano il benessere mentale.
La professoressa Cassiba, dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro sostiene spiega che le reazioni ad un lungo periodo di restrizioni sono variegate e legate a una molteplicità di fattori di natura diversa, siano essi individuali che legati al contesto. La tipologia di lavoro svolto, la possibilità di lavorare a distanza in assenza di conseguenze negative sul piano economico, del rendimento e delle opportunità di espressione, le caratteristiche dell’ambiente di casa e gli strumenti tecnologici a disposizione, così come le caratteristiche individuali che ci portano ad affrontare le novità come minaccia o come sfida, sono tutti fattori da tenere in considerazione. Parlando con amici e persone diverse ho avuto modo di verificare reazioni del tutto differenti alla stessa situazione di restrizione: alcuni rimpiangono quasi la fine della quarantena che ha concesso loro l’opportunità di vivere in modo più rilassato i ritmi di lavoro, di riflettere sul senso della vita e sulle scelte fatte, di programmare con maggiore consapevolezza il proprio futuro; per altri, invece, il periodo di restrizione è stato vissuto come una prigionia, che ha visto crescere, giorno dopo giorno, il bisogno di aria, di contatti umani, di condivisione.
Effetti che possono riguardare pure, se non soprattutto, i medici ed operatori sanitari, chiamati a compiere gli straordinari?
Per alcune categorie gli effetti sono stati decisamente pesanti. Medici e operatori sanitari hanno rischiato e continuano a rischiare quotidianamente la loro vita, in condizioni di stress fisico e psicologico estreme. Le loro giornate sono state costantemente caratterizzate da fatica, sentimenti di paura, di impotenza e di confronto continuo col dolore di chi è morto e dei suoi familiari. Questi sentimenti, spesso, sono stati affrontati in assenza del supporto dei propri familiari, proprio per evitare che potessero essere contagiati. Oltre ai medici, anche se forse con un minore rischio di contagio, va considerato l’immane lavoro svolto dalle forze dell’ordine, o da alcune categorie che hanno continuato a lavorare per garantire le attività essenziali.
Come si possono gestire questi effetti della pandemia?
Per riprendersi da questo momento di grande crisi occorrono interventi diversi su piani altrettanto differenti. Intanto bisogna cominciare a riappropriarsi e riadattarsi ai ritmi della normalità. Ciò non vorrà dire, tuttavia, ripartire necessariamente da dove ci si era fermati. Alcune cose, infatti, saranno cambiate sul piano della consapevolezza della nostra vulnerabilità: ciò potrebbe portarci a vedere la vita con occhi nuovi oppure a viverla con più timore; alcune persone non saranno più con noi. Ma saranno necessari, per alcuni, anche interventi sul piano economico; per altri, addirittura, sarà necessario trovare o inventarsi un altro lavoro. La pandemia, però, avrà permesso ad alcuni di noi di scoprire risorse che non pensavamo di avere, o di aver acquisito nuove competenze. Pensiamo, ad esempio, agli insegnanti e agli studenti: chi avrebbe immaginato che università e scuola sarebbero stati capaci, nel giro di una manciata di giorni, di ricalibrare insegnamento e apprendimento sulle nuove tecnologie? Per non parlare della capacità di lavorare da casa! Come di fronte ad ogni situazione di crisi, ciò che ci viene chiesto è di riorganizzare le risorse disponibili, tenendo conto dei cambiamenti personali e di contesto che la situazione di crisi ha prodotto.
Il quotidiano spagnolo ha dedicato un approfondimento alle difficoltà psicologiche che i bambini incontrano nell’isolamento. Gli effetti non durano nel lungo periodo?
I bambini, a mio avviso, hanno reagito in generale molto meglio di quanto ci si aspettassimo. Laddove il contesto familiare è stato supportivo sul piano psicologico, attento ai loro bisogni e disponibile, i bambini non hanno risentito del periodo di quarantena. In molti casi, anzi, hanno vissuto questo periodo come una occasione di relax, di vacanza, nel corso della quale hanno potuto godere maggiormente della presenza dei genitori, dei pranzi con la famiglia al completo, dei giochi con mamma e papà. Molte sono le scuole che hanno saputo rispondere al bisogno di socializzazione dei bambini garantendo sia l’apprendimento sia lo scambio quotidiano con compagni e insegnanti, anche se a distanza. Il problema si è creato, invece, per i bambini che a causa dei loro bisogni “speciali” richiedono un intervento più professionale, che lo stare chiusi in casa o l’assenza di personale specializzato disponibile non hanno potuto garantire. Penso, ad esempio, ai bambini con problemi di autismo, agli adolescenti che già tendevano ad isolarsi e a rifugiarsi nel mondo digitale, che hanno visto intensificare le loro problematiche di isolamento sociale.
Senza dimenticare alcuni cambiamenti forzati, come quelli che hanno vissuto i parenti delle vittime di Covid-19: impossibilitati a dare l’ultimo saluto ai propri congiunti. Si potrebbe parlare di rimorso?
Più che di rimorso parlerei di dolore e di difficoltà ad elaborarlo. Affrontare una perdita all’improvviso, senza potersi preparare all’evento e senza neanche la possibilità di portare l’ultimo saluto è una sofferenza difficile da lenire. Quando si riesce a stare fisicamente vicini alla persona che ci sta lasciando, a farle sentire l’affetto e ad accompagnarla nel momento del passaggio, si hanno più risorse anche per elaborare il lutto e accettare la perdita.
Rosa Porro