L’articolo che non riscriverei Il Giallo di Marsala

Attualità & Cronaca

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Riceviamo e pubblichiamo

Tutto nasce da un fatto di cronaca nera. Si era nell’ottobre del 1971 quando tre bambine di Marsala in provincia di Trapani spariscono. Erano le sorelle Virginia e Ninfa Marchese di 9 e 7 anni, e la loro amica Antonella Valenti di anni 11. Le ricerche sono frenetiche, vi partecipano migliaia di persone tra militari e volontari sotto il coordinamento del giudice Cesare Terranova (sarà succiso dalla Mafia nel 1979). Si teme il peggio e il peggio accade.

Il 26 di ottobre il corpo di Antonella è rinvenuto nei pressi di una scuola abbandonata in contrada Rakalia. Il corpo è parzialmente carbonizzato e la testa appare fasciata da nastro adesivo. La bimba è morta per soffocamento.

Tra gli indiziati figura lo zio di Antonella il quale dopo un pressante interrogatorio ammette di avere rapito le bimbe e di averle uccise, indica anche il luogo, dove ha gettato i corpi di Virginia e Ninfa. Trattasi di un pozzo profondo oltre venti metri ubicato in contrada Amabilina, sempre in Marsala. I corpi delle vittime sono recuperati e si scoprirà che non era stata tanto la caduta a provocarne la morte quanto le privazioni e gli stenti.

Il Vinci sarà condannato come unico responsabile dell’omicidio prima all’ergastolo e infine, in Cassazione, godrà di una riduzione della pena a 29 anni che sconterà interamente.

Fin qui il fatto di cronaca, che avrà anche riflessioni politiche alla luce del grande dibattito che in quegli anni divideva gli italiani. Ci si chiedeva se di fronte a delitti efferati (come quello sopra narrato, ad esempio), fosse lecito ripristinare la pena di morte. A favore, a quel tempo, il MSI guidato da un affabulante Giorno Almirante; occhi di ghiaccio, magnifico oratore (il migliore del parlamento), era riuscito a condurre ad affermazioni insperate il suo partito anche attraverso l’operazione di conquista del piccolo partito monarchico di Covelli e l’apertura a candidature non prettamente politiche quali, ad esempio, quella dell’ammiraglio Birindelli, e del generale Giovani de Lorenzo.

In ogni caso, però, la discussione era più su base ideologica che non volta a un’effettiva applicazione pratica. Ne sono convinto oggi, perché noi siamo più figli di Beccaria che non di Torquemada, educati in maggior parte sulla scorta del “discorso della montagna” (… porgi l’altra guancia) che non sulle parole del Levitico (… occhio per occhio, dente per dente…) che pure va opportunamente interpretato. Fatto sta che la cronaca dell’uccisione delle tre bimbe di Marsala e del modo in cui è avvenuto il decesso rinvigorì di argomenti i contendenti ed i giornali ne approfittarono. Tra questi a Catania v’era un settimanale, “Il Picchio Verde” edito dall’on. Orazio Santagati esponente di spicco del MSI-DN in Sicilia. Chi scrive, a quel tempo, lo faceva anche per quel periodico che ospitò un articolo dove, rimarcata la crudeltà animalesca (si dice così, ma gli animali non sono crudeli) dell’esecutore materiale del triplice omicidio solo la “pena di morte” poteva sanare il grave vulnus arrecato alla società civile. A caldo non si poteva giungere a conclusione più ovvia. Le indagini sull’omicidio furono seguite da tutti i giornali, il Messaggero un giorno tirò novecentomila copie.

La storia però non finì lì. Nel tempo, si appalesarono interrogativi che spinsero addirittura il giudice Falcone a provare la riapertura del caso. Nessuno credeva che un uomo piccolo, da tutti indicato come non dotato di particolare acume e, poi, piuttosto mite, avesse potuto da solo architettare il rapimento, l’occultamento e di seguito l’uccisione di tre bambine. Maggiormente la trasmissione di Corrado Augias “Telefono Giallo”, con un bellissimo servizio sull’accaduto, attraverso, la testimonianza dei protagonisti di allora indirizzò i più a convincersi che il Vinci era stato solo una pedina di un gioco molto, ma “molto” più grande di lui. Il conduttore della trasmissione non ci mise molto a fare capire che, mettila come vuoi, ma quello fu un caso di imprecise indagini e quindi mala giustizia.

Tutto quanto detto vale a confermare che l’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo nei casi affidati alla giurisdizione, penale o civile che sia. L’errore è umano e può essere riconosciuto e risarcito se il malcapitato è vivo, ma se lo si è “giustiziato”….. di Lazzaro se ne conosce uno solo.

In ogni caso quell’articolo non lo riscriverei.

Giuseppe Rinaldi

girinaldi@libero.it

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