De minimis non curat praetor

Politica

Di

di Vincenzo Olita

Poco più di due mesi dalla liberazione e Silvia Romano è nel dimenticatoio.
 

Al centro del dibattito politico mediatico che ha offerto, ancora una volta, il meglio della ridicolaggine, il precipitarsi in aeroporto di un Presidente del Consiglio e di un ministro degli Esteri che, sgomitando in mascherina, non sono riusciti a mascherare le rispettive inutilità, e i roboanti titoli dell’informazione: Il volto sorridente di un’Italia solidale (Avvenire), Il suo sorriso illumina il quartiere (inviata di Rai1 soggiornante per 48 ore all’ingresso della di lei abitazione).

La conversione all’Islam della Romano è diventata affare nazionale e solo le parole del parroco del suo quartiere “Ho grande rispetto per la scelta di Silvia e non mi permetto di giudicarla” hanno contribuito a riportare quest’affare a fatto privato. Allo stesso modo la disputa sul riscatto di quattro milioni, pagato o meno, ha diviso, in uno spessore da monopoli, politica e società; anche qui ci son volute le parole di Sir Winston Churchill da Pomigliano per superare definitivamente l’argomento “A me non risultano riscatti. Rischia la scorta in Italia dopo che l’abbiamo liberata dai terroristi”.

Strani e alquanto stupidi questi terroristi di Al Shabaab, rapiscono e trattengono per 18 mesi una persona per poi liberarla. Palesemente abbiamo sempre contribuito alle casse dei rapitori dei nostri connazionali e sempre lo faremo, ci mancherebbe. I governi dovrebbero solo prestare più accortezza per persone ed organizzazioni non in grado di gestire la propria permanenza in rischiosi quadranti internazionali.

De minimis non curat praetor, lucida locuzione latina “il pretore non si occupa di cose minimali”, e noi fin’ora abbiamo sfiorato solo affari minimali, ma non lo sono di certo quelli legati alla strategia e all’azione della nostra Intelligence per il rilascio della Romano. Non è di poco conto né marginale, infatti, il ruolo svolto dai servizi turchi in Somalia per la liberazione dell’ostaggio italiano se, insistentemente, si è parlato di un prezzo politico che l’Italia ha pagato ad Ankara e al libico al Sarraj  per sostenerli, diplomaticamente, nella difesa di Tripoli. Un costo politico impegnativo, contratto tacitamente al di fuori e al di sopra degli interessi nazionali, mentre maggioranza e opposizione con grande impegno disquisivano di conversioni e riscatti e l’informazione riempiva palinsesti nessuno si preoccupava della nostra collocazione internazionale e del brutto volto di un governo farlocco.

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