Francesco: le chiacchiere chiudono il cuore

Teocrazia e Cristianità oltre Tevere

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ROMA – “Le chiacchiere chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa. Il grande chiacchierone è il diavolo, che sempre va dicendo le cose brutte degli altri, perché lui è il bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, di allontanare i fratelli e non fare comunità”. Così Papa Francesco ai pellegrini e ai fedeli giunti ieri, 6 settembre, in piazza San Pietro per assistere al consueto Angelus domenicale.
“Il Vangelo di questa domenica (cfr Mt 18,15-20)”, ha esordito Bergoglio, “è tratto dal quarto discorso di Gesù nel racconto di Matteo, conosciuto come discorso “comunitario” o “ecclesiale”. Il brano odierno parla della correzione fraterna e ci invita a riflettere sulla duplice dimensione dell’esistenza cristiana: quella comunitaria, che esige la tutela della comunione, cioè dell’unità della Chiesa, e quella personale, che impone attenzione e rispetto per ogni coscienza individuale”.
“Per correggere il fratello che ha sbagliato, Gesù suggerisce una pedagogia del recupero”, ha continuato il Santo Padre. “E sempre la pedagogia di Gesù è pedagogia di recupero; Lui sempre cerca di recuperare, di salvare. E questa pedagogia di recupero è articolata in tre passaggi. In primo luogo dice: “Ammoniscilo fra te e lui solo” (v. 15), cioè non mettere in piazza il suo peccato. Si tratta di andare dal fratello con discrezione, non per giudicarlo ma per aiutarlo a rendersi conto di quello che ha fatto. Quante volte noi abbiamo avuto questa esperienza: qualcuno viene e ci dice: “Ma, senti, tu in questo hai sbagliato. Tu dovresti cambiare un po’ in questo”. Forse all’inizio ci arrabbiamo, ma poi ringraziamo, perché un gesto di fratellanza, di comunione, di aiuto, di recupero. E non è facile mettere in pratica questo insegnamento di Gesù, per diverse ragioni. C’è il timore che il fratello o la sorella reagisca male; a volte manca la confidenza sufficiente con lui o con lei… E altri motivi. Ma tutte le volte che noi abbiamo fatto questo, abbiamo sentito che era proprio la strada del Signore”.
“Tuttavia”, ha osservato Francesco, “può avvenire che, malgrado le mie buone intenzioni, il primo intervento fallisca. In questo caso è bene non desistere e dire: “Ma si arrangi, me ne lavo le mani”. No, questo non è cristiano. Non desistere, ma ricorrere all’appoggio di qualche altro fratello o sorella. Gesù dice: “Se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni” (v. 16). Questo è un precetto della legge mosaica (cfr Dt 19,15). Sebbene possa sembrare contro l’accusato, in realtà serviva a tutelarlo da falsi accusatori. Ma Gesù va oltre: i due testimoni sono richiesti non per accusare e giudicare, ma per aiutare. “Ma mettiamoci d’accordo, tu ed io, andiamo a parlare a questo, a questa che sta sbagliando, che sta facendo una figuraccia. Ma andiamo da fratelli a parlargli”. Questo è l’atteggiamento del recupero che Gesù vuole da noi. Gesù infatti mette in conto che possa fallire anche questo approccio – il secondo approccio – con i testimoni, diversamente dalla legge mosaica, per la quale la testimonianza di due o tre era sufficiente per la condanna”.
“In effetti, anche l’amore di due o tre fratelli può essere insufficiente, perché quello o quella sono testardi. In questo caso”, ha spiegato ancora il Papa, “Gesù aggiunge “dillo alla comunità” (v. 17), cioè alla Chiesa. In alcune situazioni tutta la comunità viene coinvolta. Ci sono cose che non possono lasciare indifferenti gli altri fratelli: occorre un amore più grande per recuperare il fratello. Ma a volte anche questo può non bastare. E dice Gesù: “E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano” (ibid.). Questa espressione, in apparenza così sprezzante, in realtà invita a rimettere il fratello nelle mani di Dio: solo il Padre potrà mostrare un amore più grande di quello di tutti i fratelli messi insieme. Questo insegnamento di Gesù ci aiuta tanto, perché – pensiamo ad un esempio – quando noi vediamo uno sbaglio, un difetto, una scivolata, in quel fratello o quella sorella, di solito la prima cosa che facciamo è andare a raccontarlo agli altri, a chiacchierare. E le chiacchiere chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa”.
“Il grande chiacchierone è il diavolo, che sempre va dicendo le cose brutte degli altri, perché lui è il bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, di allontanare i fratelli e non fare comunità”, ha incalzato Bergoglio, invitando “fratelli e sorelle” a fare “uno sforzo per non chiacchierare. Il chiacchiericcio è una pesta più brutta del Covid! Facciamo uno sforzo: niente chiacchiere. È l’amore di Gesù, che ha accolto pubblicani e pagani, scandalizzando i benpensanti dell’epoca. Non si tratta perciò di una condanna senza appello, ma del riconoscimento che a volte i nostri tentativi umani possono fallire e che solo il trovarsi davanti a Dio può mettere il fratello di fronte alla propria coscienza e alla responsabilità dei suoi atti. Se la cosa non va, silenzio e preghiera per il fratello e per la sorella che sbagliano, ma mai il chiacchiericcio”.
L’Angelus si è concluso con la consueta preghiera alla Vergine Maria affinché “ci aiuti a fare della correzione fraterna una sana abitudine” e “nelle nostre comunità si possano instaurare sempre nuove relazioni fraterne, fondate sul perdono reciproco e soprattutto sulla forza invincibile della misericordia di Dio”.

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