Trovate tracce di Dna dell’uomo di Neanderthal in umani contemporanei

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Studio pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports e condotto dagli esperti dell’Institute of Molecular and Clinical Ophthalmology di Basilea 

© AFP – Ricostruzione di un incontro tra un Homo Sapiens e un Neanderthal

Il due per cento degli umani moderni potrebbe avere geni in comune con i Neanderthal. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Stem Cell Reports e condotto dagli esperti dell’Institute of Molecular and Clinical Ophthalmology di Basilea.

“I protocolli che consentono la trasformazione di linee di cellule staminali pluripotenti in organoidi – spiega Gray Camp, capo dell’IOB Human Retina and Organoid Development Group – hanno cambiato il modo in cui è possibile guardare ai processi di sviluppo e decifrare l’interazione tra geni e formazione dei tessuti, in particolare per gli organi in cui il tessuto primario non è disponibile”.

L’esperto aggiunge che le cellule staminali umane in coltura possono auto-organizzarsi in complesse strutture tridimensionali che assomigliano alla retina, al cervello, al fegato, all’intestino o ad altri organi in via di sviluppo, per questo chiamati organoidi. “Questa metodologia – continua il ricercatore – ci consente di studiare da vicino alcuni processi altrimenti inosservabili, non solo per la difficoltà intrinseca del processo, ma anche per ragioni etiche. Usare le cellule staminali pluripotenti per studiare le funzioni del DNA umano arcaico rappresenta una prospettiva inesplorata e assolutamente interessante”.

Secondo i risultati del team, circa il 2 percento dei genomi degli esseri umani moderni oltre i confini dell’Africa sono composti dal DNA di Neanderthal. Il gruppo di ricerca ha utilizzato i dati della Human Induced Pluripotent Stem Cells Initiative (HipSci), un consorzio internazionale che fornisce informazioni utili alla ricerca, anche se principalmente relative a popolazioni britanniche o nordeuropee.

Abbiamo confrontato quattro linee cellulari per sviluppare organoidi cerebrali – osserva Camp – generando dati di sequenziamento dell’RNA a cellula singola per analizzarne la composizione cellulare. Questo è uno studio proof-of-principal che mostra che è possibile utilizzare queste risorse per studiare l’attività del DNA di Neanderthal in un processo di sviluppo”.

Gli scienziati, che hanno creato uno spazio web per facilitare la condivisione di informazioni, precisano che la vera sfida sarà aumentare il numero di possibili linee genetiche da considerare. “Il nostro obiettivo – conclude l’autore – è continuare ad analizzare le popolazioni antiche, come gli uomini di Denisova, grazie agli organoidi, che possono contribuire a studiare una serie di processi che riguardano anche il tratto intestinale e la digestione, la funzione cognitiva e neurale e la risposta immunitaria ai patogeni, per cui rappresentano il modo più efficace per studiare fenotipi controllati dal DNA di Neanderthal”. 

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