Elezioni USA: ispanici e afroamericani saranno ancora l’ago della bilancia?

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Di Thomas Seymat  & (traduzione e introduzione: Antonio Storto)

 
simpatizzanti delle comunità ispaniche incontrano Joe Biden a Las Vegas   –   Diritti d’autore  Carolyn Kaster/Copyright 2020 The Associated Press.

È risaputo come le minoranze giochino ormai un ruolo fondamentale alle presidenziali statunitensi. Fu la massiccia mobilitazione di latinos e afroamericani – che spesso, fino ad allora, si erano dimostrati refrattari alle urne – a rivelarsi determinante per la vittoria di Barack Obama. Da allora, il voto delle comunità nere e ispaniche continua ad essere rincorso come un ago nella bilancia degli equilibri elettorali statunitensi: nel 2016, Hillary Clinton non riuscì a ripetere la mobilitazione di massa innescata per ben due tornate dal suo predecessore, e proprio la disaffezione delle minoranze fu individuata come una delle cause più evidente della sua disfatta.

E non è dunque un caso se, negli ultimi giorni – mentre lo staff di Donald Trump diffonde un video tutto rivolto alle comunità ispaniche, col Presidente in carica che balla al ritmo di salsa – Barack Obama sia intervenuto massicciamente a sostegno della candidatura di Biden, così da intercettare il voto afroamericano.

Spot “a ritmo di Salsa” per Donald Trump

Ne abbiamo parlato con Olivier Richommedocente di civiltà americana all’Université Lumière di Lione e specialista in questioni razziali, identitarie e politiche negli Stati Uniti, che ci ha aiutato meglio a capire il probabile posizionamento di queste comunità, anche alla luce dell’incognita rappresentata dalla pandemia.

EN: Professore, per quanto riguarda il voto dei latinoamericani e degli afroamericani, si può parlare di un blocco monolitico o, al contrario, c’è una forte differenziazione all’interno di queste comunità?

Olivier Richomme: Se la domanda riguarda un’analisi dettagliata delle comunità e delle diverse posizioni, c’è effettivamente una certa diversità. All’interno della comunità afroamericana, ad esempio, esiste una fascia di conservatori, in particolar modo sulle questioni relative al porto d’armi o all’omosessualità. Ma resta il fatto che il 90% degli afroamericani vota comunque per il Partito democratico. Ed è così da più di cinquant’anni, ormai, dagli anni sessanta sono parte stabile della coalizione democratica. Non voglio dare l’impressione che questa comunità sia monolitica: ci sono differenze, ma dal punto di vista elettorale non hanno altra alternativa che rivolgersi al Partito democratico. Ma questo aspetto è problematico, perché i democratici tendono spesso a trascurare queste comunità, contando sul fatto che, in ogni caso, il Partito repubblicano non è una vera opzione per loro. Quindi, ancora una volta, è la partecipazione la chiave, per questo si cerca di motivare gli afroamericani a muoversi.

Abbiamo visto che Hillary Clinton, per esempio, non era riuscita a convincerli, quattro anni fa. E quando le elezioni non sono ritenute particolarmente importanti, come nel 2016, questo può fare la differenza.

Per quanto riguarda i latino-americani, il 70% di loro vota Democratico. Quindi, non possiamo parlare di un voto monolitico, ma abbiamo comunque una tendenza molto forte. Possiamo vedere che il fattore etno-razziale è uno di quelli che determinano il voto degli elettori. Non esiste un fattore di mobilitazione altrettanto potente a livello socio-demografico: non il sesso, l’educazione, la religione Nessun altro fattore vi restituirà percentuali del genere: parliamo del 90% e del 70%, sono numeri enormi. E uno dei motivi per cui i latinos sono al 70% e non al 90% come gli afroamericani è rappresentato dalla questione religiosa.

Ma anche se alcuni cattolici o evangelici molto ferventi, come se ne trovano parecchi tra i latinos, non necessariamente apprezzano la retorica di Donald Trump sulla comunità ispanica, saranno comunque disposti a mettere un po’ da parte le rispettive perplessità, perché per loro la libertà religiosa, la libertà di scegliere la scuola e il contenuto dei corsi sono fondamentali. Questo crea una barriera, un blocco inamovibile di conservatori tra i latinos

E riguardo alla questione cubana, invece?

Naturalmente, ci sono diversi fattoriche entrano in gioco. Gli afroamericani hanno lo stesso tasso di partecipazione dei bianchi, quindi il loro voto ha un impatto molto maggiore. I latini votano meno dei bianchi e degli afroamericani. Quindi, anche se sono più numerosi degli afroamericani, dal momento che tendono maggiormente a disertare le urne, il loro voto non ha lo stesso impatto. Inoltre, sono distribuiti in modo diseguale in tutto il paese. I latini sono distribuiti in alcuni stati più o meno importanti, come la California, che è saldamente democratica, o il Texas, che i democratici hanno poche possibilità di rovesciare nel breve termine.

La Florida, invece, è uno degli stati più importanti, tra quelli in cui esiste una comunità latina, e ciò è dovuto proprio alla presenza di molti esuli cubani. In quello stato, un terzo dei latini è cubano, un terzo è messicano e l’ultimo terzo ha una qualche altra origine.

Lynne Sladky/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
agosto 2020, un membro dello staff di un seggio elettorale in Florida sorveglia un’urna per il voto a distanzaLynne Sladky/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.

Prima, però, la questione cubana era molto più sentita. Tra questa comunità, la vecchia generazione era molto più interessata alla questione cubana rispetto alla nuova, che è molto più aperta al Partito democratico. È la vecchia generazione, quella che è al potere a livello locale, che è riuscita a far eleggere i membri del Congresso. Sono molti più attivi e focalizzati sulla questione dell’embargo e proseguono sulla logica della guerra fredda.

Ma possiamo osservare che c’è un’evoluzione, ed è per questo che Obama ha potuto rinnovare le relazioni diplomatiche con Cuba. E’ chiaro che l’impatto di tali questioni inizia a diminuire vistosamente in Florida. Finora, poiché la Florida è uno degli Stati chiave per le elezioni presidenziali, non ci si voleva alienare l’elettorato cubano e dunque i democratici tendevano ad andare con i piedi di piombo sulla questione cubana. Ora, la questione può essere sollevata perché c’è questa evoluzione demografica ed elettorale.

Oltre alla Florida, ci sono altri Stati chiave in cui questi voti latinoamericani e afroamericani possono avere un peso?

Lo avranno in tutti gli Stati chiave e in tutti gli Stati dove le elezioni presidenziali non sono molto sentite. Se ricordate, quello che è successo nel 2016, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin sono stati vinti da Donald Trump con poche decine di migliaia di voti. Si è trattato davvero di un pugno di voti.

E poi naturalmente c’è la Florida, vinta nel 2016 con 100.000 voti, che è molto poco considerando la composizione dello stato. Nel Michigan, nella zona di Detroit, abbiamo visto nel 2016 che gli afroamericani non sono andati massicciamente alle urne per Hillary Clinton come lo avevano fatto per Barack Obama. Di conseguenza, il Michigan è stato perso a causa della disaffezione degli afroamericani.

Russ Bynum/AP
14 ottobre, Richard Williams aspetta in fila per il voto ancitipato a Savannah, Georgia 2020Russ Bynum/AP

Questa elezione si svolge con così pochi voti di distanza in alcuni stati, gli stati chiave – laddove si concentrano tutte le energie e tutti i finanziamenti per la campagna elettorale – che qualsiasi comunità potrebbe giocare il ruolo di “king maker”. In Pennsylvania, per esempio, è imperativo per i democratici che gli afroamericani di Philadelphia si rechino alle urne. Ci sono anche i latino-americani nel Michigan e nel Wisconsin. Non molti, ma anche loro possono fare la differenza.

Nel 2016, abbiamo visto che c’è stato un vero e proprio calo nella partecipazione dei latino-americani, soprattutto a causa delle misure restrittive messe in atto per scoraggiare le persone dal votare. E la Florida, che è a sua volta uno stato-chiave, conta molti afro-americani e molti latino-americani. Entrambe le comunità sono fondamentali in quello Stato, perché fanno parte della coalizione democratica.

Si tratta, dunque, di una battaglia di mobilitazione?

Esattamente, come sempre. Vediamo quest’anno che alcuni stati possono rovesciare i pronostici: il Nord Carolina con una grande roccaforte di afroamericani che Barack Obama aveva vinto o l’Arizona, che di solito porta molti voti ai repubblicani, ma dove si vede arrivare un’ondata democratica. E siccome ci sono molti latino-americani in Arizona, pensiamo che lo Stato potrebbe cadere. Ma ogni volta, che si tratti di afroamericani o di latino-americani, c’è un’imprevedibilità sufficiente a poter dire, in seguito: “È grazie a noi se avete vinto, per cui ora dateci quanto che ci avete promesso in campagna elettorale”.

Ben Gray/Ben Gray Ben@bengray.com
12 ottobre 2020, Denise e Bill Hasbune di Stone Mountain, Georgia, compilano un modulo di pre-registrazione in attesa di votareBen Gray/Ben Gray Ben@bengray.com

Se la questione della partecipazione è così centrale, quanto peso possono avere le misure di restrizione all’accesso al voto?

Questa è la domanda da un milione di dollari a cui tutti vorrebbero poter rispondere. Perché il problema è che quest’anno abbiamo una situazione un po’ particolare: siamo nel bel mezzo di una pandemia. Tutti i nostri colleghi specialisti in diritto elettorale si stanno domandando: “cosa succederà?

In realtà, non ne abbiamo idea. Di solito, le elezioni sono già ben strane, con Donald Trump e le misure restrittive in alcuni Stati controllati dai repubblicani. Sono convinti che sia meglio se ci sono meno persone che vanno a votare, e se quanti votano sono anziani e pensionati lo ritengono ancora meglio, perché più si è anziani e più si è conservatori. Se possono evitare di avere le urne piene di giovani, minoranze e così via, è meglio. Quindi questo tipo di restrizioni vengono messe in atto negli Stati controllati dai repubblicani. Questa è la situazione in tempi normali.

Ora, in tempi di pandemia, non ho idea di cosa potrà accadere. Ovviamente non sarà d’aiuto. Sarebbe meglio fare quello che fanno l’Oregon o la California, cioè iscrivere le persone direttamente nelle liste elettorali, fare tutto a distanza, votare per posta e in anticipo. Tutto questo sarebbe meglio. Ma sarà la pandemia a far sì che la gente non voti e che e restrizioni elettorali saranno un dettaglio? Lo sapremo solo dopo che il voto avrà avuto luogo, dopo che il conteggio sarà stato effettuato, dopo che i dati saranno disponibili: in altre parole, entro un anno. Prima di allora, sarà molto difficile differenziare l’effetto Covid-19 da altre misure elettorali.

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