“Fogli protocollo ad uso bollo”, così si chiamano quei fogli piegati in due, generalmente a righe e con margini, del formato di 31 per 42 centimetri. Però a scuola venivano chiamati semplicemente fogli protocollo. Bisognava portarne due, quando c’era compito in classe, uno per la bella e l’altro per la brutta copia. Io non sempre facevo in tempo a ricopiare la brutta.
Col passar del tempo ho appreso altri significati del termine “protocollo”: registro per la corrispondenza, documento riguardante un accordo fra stati o parti sociali, cerimoniale che regola le modalità di svolgimento di visite di stato, ricevimenti ufficiali, e altri significati ancora. Adesso, con la pandemia, ne ho appreso uno che ignoravo: il complesso di regole cui ci deve attenere per curare una persona che si ammala. Ma anche le norme di sicurezza che deve osservare un’azienda, un supermercato ad esempio, sono definite “protocollo”. Recentemente ho fatto esperienza del protocollo per la misurazione della temperatura corporea in un grande supermercato sulla via Tiburtina, a Roma. Un giovane signore, guardia giurata, è andato incontro al vecchio signore che sarei io, ha avvicinato l’apparecchio alla mia fronte e, constatato che non avevo febbre, non mi ha fatto semplicemente cenno che potevo proseguire, non mi ha detto prego signore, o anche solo prego, mi ha detto una sola breve parola di tre lettere: “Vai”. Ci sono tornato una seconda volta, in quel supermercato, e il protocollo è stato lo stesso: “Vai”.
Renato Pierri