Un bene culturale per una comunità – Il castello di San Lorenzo del Vallo di Micol e Pierfranco Bruni

Arte, Cultura & Società

Di

 

di Floriano Cartanì

Il Sud è  un vissuto di paesi e beni culturali. E se la Storia, quella con la S maiuscola appunto, non fosse così lontana da noi e ci attraversasse invece per ricordare e ricordaci direttamente e personalmente quello che fummo, che è stato? Sembra proprio questa la domanda e la relativa risposta, molto opportunamente data dall’ultimo lavoro letterario scritto da Micol e Pierfranco Bruni a due mani.
“San Lorenzo del Vallo, dalle origini al Castello” questo il titolo dell’opera per la Luigi Pellegrini casa editrice anno 2020, è infatti molto più che un semplice studio, chiamato magari a condurre il lettore nei meandri di un argomento passato (forse un po’ tralasciato) ma di cui la Storia stressa ha reclamato negli ultimi anni la sua propria importanza. C’è sempre stata la grande Storia, quella cioè per lo più riportata sui libri di testo scolastici e c’è poi la micro Storia la quale, molto spesso, ci appare forse più vera perché ci attraversa nell’intimo dei ricordi. Del castello di San Lorenzo del Vallo, dichiarato patrimonio di interesse storico sin dal 1978, ci si sta occupando a dir la verità da un pò di tempo, non solo dal punto di vista archeologico-antropologico (meta raggiunta ultimamente da Micol e Pierfranco Bruni nel loro contesto letterario) ma anche da quello restaurativo e conservativo del bene culturale.
Il progetto a riguardo, così come ribadito nel lavoro dagli autori, crediamo debba appartenere a quella ristretta cerchia di interventi rivolti non solo alla tutela valorizzante e riqualificante il mero patrimonio storico architettonico ma salvaguardare, allo stesso tempo, anche gli ambiti identitari e storiografici collettivi. Insomma, per dirla sempre con i nostri Micol e Pierfranco Bruni: “…finalizzare il recupero di un bene culturale al solo scopo del suo riutilizzo è un’operazione fuorviante che non da senso e non qualifica storicamente il bene stesso”. E gli autori, proprio su questo argomento, scavano acutamente il significato di un bene architettonico che, nel nostro caso specifico ma anche in molti altri dello stesso tipo, finisce per essere esso stesso comunità e non solamente mura, seppur secolari. La memoria storica di un manufatto, quindi, vista come una sorta di traccia consapevole appartenente a un luogo antico, che si continua tuttavia anche nel presente: perché pure il ricordo si abita e va attraversato.
Raccontare, come hanno fatto i Bruni, del borgo di San Lorenzo del Vallo dal periodo delle origini (circa II secolo d.C.), assume allora una valenza che, oltre ad essere bibliografica, è anche rappresentativa di quanto per una comunità possa essere l’eredità di un bene culturale come un castello ad esempio. Ma nel libro di Micol e Pierfranco Bruni, si possono anche leggere pagine di pura ricerca storica, che vanno a scavare tra le varie fonti fino ad arrivare a prima della conquista romana e poi, in età medievale intorno al XIII secolo, al nome dato quasi definitivamente al feudo: “Sancti Laurenti”. E’ una storia molto particolare quella indicata dagli autori che vede, alle origini, una popolazione prim’ancora che greca e romana, essere di nascita Illirica, quindi proveniente dall’Adriatico.
Un mare, quest’ultimo, dalle cui sponde orientali partiranno alla volta dell’italica Calabria, quegli Albanesi di Giorgio Castriota Skanderbeg dei quali, ancora oggigiorno, esiste traccia generazionale. Un San Lorenzo del Vallo quindi, quello veduto dai due saggisti, quasi come una sorta di cerniera, di concatenazione tra sponde marinaresche adriatiche e mediterranee insieme alla cultura dei relativi popoli che li abitarono. La storia di un borgo allora che, in San Lorenzo del Vallo e il suo castello, declinati nel libro di Micol e Pierfranco Bruni, può rappresentare un valore intrinseco per una comunità locale ovvero, a detta degli stessi autori, riuscire persino a dare : “un senso a ciò che di antico è rimasto, per poter vivere la quotidianità con serenità”. Un’ottima lettura, altamente consigliata soprattutto di questi tempi, per (ri)scoprire in oltre cento pagine un percorso autentico tracciato in questo lavoro dai due autori: padre e figlia, forse, non sono stati mai così uniti nella ricerca profonda delle proprie radici. Le radici sono identità.

 

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