Burnout negli operatori sanitari:le conseguenze pandemiche

Ambiente, Natura & Salute

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Incontri al confine di contatto ,rubrica a cura del Dott.Gianfranco Peragine

Una delle foto emblematiche dell’epoca Covid-19 è sicuramente quella che ritrae un’infermiera, stremata dalla fatica, accasciata sulla scrivania del suo reparto. Erano i primi mesi della pandemia. Il personale medico sanitario affrontava una guerra di trincea scoppiata bruscamente nell’arco di una manciata di settimane. A distanza di circa 8 mesi, oggi, per l’Italia, è il Vax day, giorno di inizio per le vaccinazioni e, simbolicamente, è proprio un’infermiere la prima italiana a ricevere la vaccinazione. In questa situazione di emergenza, così come in altre situazioni di crisi sanitaria, gli operatori della salute impegnati in prima linea sono tra le persone maggiormente esposte allo stress e al rischio di ricadute dal punto di vista del benessere mentale. Molti studi hanno evidenziato, infatti, i rischi per il benessere mentale degli operatori sociosanitari , in particolare, sottolineano come essi possano sviluppare un disturbo da trauma che può perdurare negli anni successivi (Brooks et al. 2020; Folkman e Greer, 2000; Mauder et al., 2003). Un recentissimo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association (Janbo et al., 2020) basato su un’indagine svolta dal 29 gennaio al 3 febbraio e relativa alla salute mentale di 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti affetti da Covid-19 in 34 ospedali della Cina, ci dice che:  gran parte degli operatori riferisce sintomi di depressione (50%), ansia (45%), insonnia (34%) e di stress (71,5%)  gli infermieri riportano sintomi particolarmente gravi (forse a causa del contatto mag- giore con i pazienti, che comporta aumento del rischio di contagio, contatto più diret- to con la sofferenza e con la morte)  gli operatori di prima linea (all’interno degli ospedali di Wuhan, epicentro dell’epidemia originale), hanno manifestato un carico psicologico maggiore rispetto agli operatori sanitari cinesi di zone più lontane dall’epicentro. Alla luce di tutto ciò, la tutela del benessere psicofisico delle professioni di cura ha assunto un ruolo primario richiamando l’attenzione e l’esigenza di pianificare e mettere in atto politiche e strategie di prevenzione della salute mentale del personale medico/sanitario. La fulmineità con cui l’emergenza pandemica si è irrobustita e il considerevole impatto generato su vasta scala sulla salute di tutti i cittadini, unitamente all’inadeguatezza delle risorse professionali con cui i sanitari si sono trovati a far fronte all’epidemia, hanno posto i professionisti della cura nella condizione di vivere in maniera straordinaria e repentina tutti quei disagi organizzativi, fisici e psicologici da cui sono afflitti in condizioni ordinarie. È facile intuire come il lavoro sanitario sia considerato fra quelli che con più facilità possono portare allo sviluppo della sindrome da burnout, caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione personale. Riprendendo il pensiero di Vittorio Lingiardi, medico psichiatra, psicoanalista e ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, si può fare riferimento alla condizione traumatica del soccorritore (secondary traumatic stress disorder o compassion stress/fatigue) per definire, oltre il normale stress psicofisico, ciò che stanno vivendo i sanitari durante questa emergenza; si tratta di una particolare forma di disagio tipica della relazione di aiuto “soccorritore-vittima”, quando viene richiesto che le cure siano indirizzate per primo alle vittime primarie e successivamente a quelle secondarie, i soccorritori. Questo tipo di trauma è stato oggetto di studi soprattutto nei periodi di guerra o durante catastrofi, come terremoti, incidenti aerei, grandi incendi. Si tratta di situazioni che richiedono uno specifico addestramento ad agire in circostanze molto critiche, caratterizzate da scarsità di risorse umane e materiali, capacità di adattamento rapido a ciò che la situazione richiede, prontezza nel fare scelte dolorose. È questo, nell’immediato, il terreno su cui, continua Lingiardi, s’innesta il burnout e mette radici il futuro disturbo da stress post-traumatico. Tra le manifestazioni sintomatiche, frequenti sono gli indici di disagio emotivo, intenso stress psicologico, ansia, depressione, paura e nervosismo, irritabilità, insonnia persistente e altri sintomi. Uno studio cinese effettuato durante i primi tempi dell’epidemia COVID-19 esplosa a gennaio 2020 conferma proprio tale quadro sintomatologico. L’indagine ha coinvolto 1.257 operatori sanitari che hanno assistito pazienti in reparti COVID-19 e in reparti posti in seconda e terza linea riportando percentuali importanti di depressione (50%), ansia (44,6%), insonnia (34%) e distress (71,5%), con particolare severità soprattutto per infermieri, donne, operatori di prima linea, lavoratori della città epicentro. Ma cosa si può fare per prevenire tale situazione o, per lo meno, è possibile creare una zona cuscinetto attorno al mondo delle professioni sanitarie? Credo che, al fine di implementare qualsiasi tipo di azione, sia importante partire proprio dall’esperienza diretta di chi ha vissuto o vive in prima persona la situazione vigente, partendo proprio dal vissuto cognitivo ed emotivo degli operatori sanitari per comprendere ciò che temono, ciò di cui si preoccupano, quello che vorrebbero migliorare così da poter definire, con maggior efficacia, interventi mirati. Riconoscere le fonti di malessere, risalire alle cause scoprendo le modalità di certe dinamiche organizzative, lavorative, relazionali e non solo, consentirebbe alle organizzazioni sanitarie di sviluppare approcci specifici per affrontare queste preoccupazioni e fornire supporto specifico. Tra i servizi base offerti al personale medico sanitario ci sono il supporto psicologico telefonico (o via Skype) o veri e propri ambulatori specialistici di salute mentale dedicati al sostegno dei professionisti sanitari coinvolti nell’emergenza e numeri attivi che in ogni regione sono messi a disposizione dall’Ordine degli psicologi o da Organizzazioni di volontariato. In conclusione sicuramente le conseguenze dell’emergenza sanitaria sul benessere dei professionisti della salute saranno non sottovalutabili. Tale prospettiva rende urgente una politica di tutela nei confronti di tale categoria lavorativa. Il rischio di non considerare prioritari interventi di prevenzione psicologica sistematizzati e di lunga durata sul benessere della classe sanitaria è quello di cronicizzare una condizione già complessa che la COVID-19 facilmente peggiorerà.

Dott. Peragine Gianfranco​

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