Aspettando Sanremo: la censura nei testi delle canzoni degli anni Cinquanta e Sessanta

Arte, Cultura & Società

Di

di Stefania Romito

I testi delle canzoni, dal ’50 al ’70, sono stati condizionati anche dalla censura piuttosto opprimente che mirava a contrastare i contenuti giudicati troppo ammiccanti o scabrosi (oltraggiosi e scandalosi). A farne le spese sono stati diversi autori tra cui Domenico Modugno. Nella canzone “Vecchio frac” viene censurato il primo verso «Ad un attimo d’amore, che mai più ritornerà»  viene fatto cambiare in «Ad un abito da sposa, primo ed ultimo suo amor», in quanto non era possibile citare, in una canzone, un attimo d’amore. “Resta cu’mme” (’57) viene censurata dalla RAI per il verso «Nun me ‘mporta d’o passato, nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto…» che contrastava contro la morale cattolica riguardo il tema della verginità.

In altri casi la censura interveniva non tanto perché il testo offendeva la morale comune, ma anche per il modo con cui veniva interpretato il brano. È il caso di Jula de Palma che cantò nel ’59 “Tua”, la sua esibizione al Festival di Sanremo non venne trasmessa dalla RAI in quanto giudicata troppo lasciva.

L’inizio degli anni ’60 è caratterizzato dall’avvento del rock, nuovo genere musicale di matrice anglosassone che determinerà una ventata di novità riflettendosi anche nei testi delle canzoni. Sarà Adriano Celentano a portare il rock sul palco dell’Ariston con  “24000 baci”(’61), una canzone connotata da un testo vivace con la presenza di inserti linguistici innovativi che enfatizzano il ritornello (come: “ye ye ye ye ye ye”) e che imprimo un ritmo incalzante all’intero componimento. In generale, i testi delle future canzoni di Adriano Celentano saranno connotate da un linguaggio il più possibile vicino all’oralità al fine di ridurre le distanze tra il beniamino del rock e il suo pubblico. Nel caso di Adriano Celentano, gli errori grammaticali e sintattici che si riscontrano a volte nei testi delle sue canzoni sono, con buona probabilità, voluti e ideati al fine di connotare un artista attraverso uno stile del tutto originale con l’intento di farlo diventare un vero e proprio personaggio. In “Una carezza in un pugno” cantava:  Ma non vorrei che tu a mezzanotte e tre stai già pensando a un altro uomo” (stai” al posto di “stia”).

Agli albori della rivoluzione sessuale (siamo nel ‘64) Cigliola Cinquetti, con “Non ho l’età”, rappresenta l’ultimo baluardo di un linguaggio che rientrava perfettamente nei canoni della tradizione. La tematica amorosa, che tende ad esaltare l’amore romantico, è conforme ai valori tradizionali del buon costume, della morale comune “non ho l’età per amarti, non ho l’età per uscire sola con te”). Una canzone che oggi non potrebbe essere cantata nemmeno dalle giovanissime. (“Lascia che io viva un amore romantico nell’attesa che venga quel giorno, ma ora no, non ho l’età, non ho l’età per amarti”).

Da un punto di vista linguistico, i testi di questo periodo continuano a fungere da modello lessicale e difficilmente si incontrano espressioni che non rientrino nell’uso corretto dell’italiano scritto.

A fine anni ’60 una decisa svolta in direzione di un nuovo tipo di linguaggio e di stile musicale l’ha apportata Luigi Tenco. Fu un vero e proprio pioniere della “canzone d’autore” e, come la maggior parte dei pionieri, la sua originalità fu confusa con la “trasgressività” e “anticonformismo”. Nel ’67 fu costretto a presentare a Sanremo un brano, “Ciao amore ciao”, totalmente trasformato nei contenuti. La tematica originale di stampo militarista venne sostituita da una molto avvertita in quel momento: quella dell’emigrazione.

Niente affatto contento del cambiamento, si fece convincere da Dalida a cantarla al Festival. L’esclusione di “Ciao amore ciao” dalla rosa dei finalisti determinò, con ogni probabilità, la tragica fine di Tenco.

redazione@corrierenazionale.net

s.romito@corrierepl.it

 

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