Oggi 16 febbraio ricorre l’anniversario della strage di Domenikon. Fu compiuta in Grecia nel 1943 dai militari delle forze italiane di occupazione. Causò la morte di circa 140 civili. Erano tutti uomini di età compresa tra i 14 e gli 80 anni abitanti di un piccolo villaggio delle Tessaglia.
Quella di Domenikon è stata ritenuta una delle peggiori stragi compiute dai militari italiani nei Balcani. Il primo di una serie di eccidi che caratterizzarono la primavera del ’43. Questa strage è stata riscostruita con tanta maestria e abilità dal giornalista Vincenzo Sinapi in “Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani” edito da Mursia.
Il libro tenta di far luce sull’impunità dei criminali di guerra nazisti responsabili delle stragi commesse in Italia. Le “carte” riguardanti i crimini commessi dai militari italiani in Grecia e nella ex Jugoslavia infatti sono state insabbiate. Quegli atti avrebbero consentito di svolgere proficuamente degli accertamenti giudiziari. Ma questo non è avvenuto. Il giornalista Sinapi racconta che ci sono volute delle inchieste giornalistiche e perfino un esposto dall’interno della stessa magistratura militare per far aprire un procedimento, ma ormai il tempo era scaduto. Di fatti non sono stati trovati potenziali imputati sopravvissuti e il procedimento è stato una prima volta archiviato.
Nonostante ciò, un magistrato militare, sollecitato dal nipote di una delle vittime, ha riesumato tempo dopo il fascicolo. Sono state così svolte nuove e più circoscritte indagini. Esse dovevano far luce su questa vicenda. Gli accertamenti sono durati anni ma nessun colpevole per Domenikon è emerso. La vicenda giudiziaria si è definitivamente chiusa nel 2018. Il gip militare ha accolto la richiesta di archiviazione del pm perché i responsabili sono tutti morti, ormai, o rimasti ‘ignoti’.
Un proscioglimento di cui il procuratore militare Marco De Paolis ha chiesto irritualmente scusa ai familiari delle vittime, con una lettera riportata nel libro di Sinapi: “Abbiamo percorso tutte le strade possibili, lo sforzo investigativo è stato grande, ogni indizio è stato sfruttato. Ma ci siamo scontrati con ostacoli insuperabili a causa del lungo tempo trascorso. Un tempo troppo lungo“, ha scritto De Paolis. “Provo amarezza per non aver potuto dare a Voi, alla Vostra comunità, la risposta positiva di giustizia che vi è dovuta. E di questo mi scuso“.