Il paradosso pirandelliano ne “La giara”

Arte, Cultura & Società

Di

di Stefania Romito

Le Novelle vengono scritte da Pirandello nell’arco di tutta la sua attività creativa e sono raccolte in 24 volumi, sicuramente la maggior parte di esse vennero scritte nei primi 15 anni del ‘900. Sono contenute nella raccolta dal titolo “Novelle per un anno”.

Pirandello racconta utilizzando tecniche narrative all’avanguardia per i tempi: narratori interni, narratori esterni a focalizzazione esterna e interna, punti di vista che mutano e si alternano nel corso dell’intreccio, monologhi interiori, intrecci complessi con prolessi e analessi, atti a  creare un’esperienza di lettura provocatoria che coinvolge il lettore.

La lingua che utilizza è ormai completamente moderna molto vicina a quella che diventerà la lingua parlata dall’italiano medio nel corso del XX secolo. Queste novelle non hanno un filo logico o una continuità tematica. Presentano, infatti, una moltitudine di personaggi, di situazioni, di casi umani molto diversi tra loro. L’assenza di un filo logico, all’interno delle novelle, dipende dalla visione che Pirandello. ha del mondo. Per Pirandello il mondo non è ordinato, non è armonico, ma è “frammentato”, disgregato. Così come nel mondo non c’è un ordine, non c’è un ordine neanche nelle sue novelle, ciononostante la critica ha individuato tre grandi categorie: “grottesche, surreali”, “ambientazione cittadina”, “ambientazione siciliana”.

Nelle novelle “surreali e grottesche” Pirandello penetra l’inconscio, gli aspetti più profondi, la tendenza di tornare al contatto con la natura, agli aspetti più primitivi dell’essere umano. Le novelle di “ambientazione cittadina” hanno come tema dominante il dolore dell’uomo, ossessioni e angosce,  impulsi incontrollabili, torbidi e inconfessabili. Opera uno scavo nella dimensione emotiva degli individui. Nelle novelle “siciliane” riscontriamo legami con il verismo. Vengono descritte situazioni della provincia siciliana e i protagonisti sono uomini umili appartenenti a un mondo arcaico e primitivo. Tuttavia Pirandello si differenzia da Verga in quanto non c’è in questo autore l’interesse “documentaristico”, né c’è l’interesse “d’indagare” i meccanismi sociali, né quelli che regolano la lotta per la “sopravvivenza”. Della vita Pirandello non coglie gli elementi di causa-effetto, ma va a guardare la casualità della vita, il gesto “folle”, la situazione paradossale che sconvolge la realtà. Utilizza l’umorismo per operare una riflessione, mette in evidenza l’aspetto grottesco, il fatto assurdo, la casualità. Tuttavia la differenza con Verga è nei personaggi, in quanto quelli di Verga non si ribellano, quelli di Pirandello invece sì.

A quest’ultima categoria appartiene “La giara”, commedia in atto unico scritta nel 1916 da Luigi Pirandello e ripresa da una novella scritta nel 1906 e pubblicata nel 1917 nella raccolta “Novelle per un anno”. La storia è incentrata sulla vicenda di Don Lolò Zirafa, proprietario terriero ricco e avaro, che vede ovunque nemici pronti a rubargli la sua roba. Un giorno acquista una grandissima giara per conservare l’olio della nuova raccolta, ma questa viene ritrovata rotta in due e Zirafa si infuria. La giara può essere riparata solo da Zi’ Dima Licasi, artigiano del posto, che pare abbia inventato un mastice miracoloso. Zirafa tuttavia pretende che l’incollatura venga rinforzata con punti di filo di ferro. Zi’ Dima lo accontenta ma rimane bloccato all’interno della giara.

I due litigano, perché l’artigiano vuole essere comunque pagato, mentre il proprietario terriero non vuole, visto che per farlo uscire dovranno rompere la giara. Si rivolge al suo avvocato, che lo invita a pagare e a rinunciare a ogni risarcimento per non essere accusato di sequestro di persona. Ma il proprietario terriero si rifiuta di seguire il suo consiglio: alla fine, su tutte le furie, Don Lolò Zirafa, arrabbiato, tira un calcio alla giara, che rotolando libererà l’artigiano.

La giara tratta alcune tematiche molto care a Pirandello come il moltiplicarsi dei punti di vista, la Sicilia, e i contrasti tra le persone. Emerge la tematica della roba, ripresa dal Verismo verghiano, descritta con il morboso attaccamento di Don Lolò ai beni materiali, la visione pirandelliana, tuttavia, supera il realismo verista dando vita a un effetto tragicomico.

Alla figura di Don Lolò si contrappone quella di Zi’ Dima, privo di risorse materiali, ma consapevole della dignità del lavoro. Nel rapporto antitetico tra queste due figure del tutto diverse, Pirandello riesce a dare vita a una situazione grottesca, nell’ambito di una dimensione all’insegna della comicità, in cui entrambi diventano al contempo debitore e creditore dell’altro. Poiché nessuno dei due vuole andare incontro all’altro, si giunge a una situazione di stallo in cui è impossibile stabilire chi abbia ragione e chi torto. Si tratta di un paradosso paragonabile a quello che ritroviamo ne “Il giuoco delle parti pirandelliano”.

 

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