La condotta lesiva del datore di lavoro

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Diamo voce a chi non ha voce!

Continua la nostra indagine sulle ingiustizie nel luogo di lavoro.

Come reagire a un pessimo capo?

UN CONTO È NON ANDARE D’ACCORDO CON IL PROPRIO SUPERIORE, UN ALTRO È SUBIRE VERE E PROPRIE VIOLENZE PSICOLOGICHE.

Andare d’accordo col capo, si sa, non è sempre facile e in genere non resta altro da fare che darsi alla diplomazia.

Un luogo di lavoro deve essere come una seconda casa. Saper gestire il personale non è da tutti: serenità e motivazione del personale deve essere il ‘verbo’ di un buon capo ufficio. 

Purtroppo, però, a volte la situazione va ben oltre la normalità: succede quando il capo ufficio si trasforma in boss e dunque diventa un vero e proprio “bullo” da ufficio.

In quel caso soffrire in silenzio, dice la scienza, non porta nessun beneficio. Secondo una ricerca condotta dal professore Bennett Tepper della Ohio State University, infatti, chi risponde in modo passivo-aggressivo a un superiore che oltrepassa i limiti ignorandolo, fingendo di non conoscere le cause della sua rabbia o semplicemente mostrando scarsa convinzione, più di rado finisce per sentirsi una vittima.

In breve, quando i dipendenti reagiscono e non si lasciano intimidire da pessimi capi soffrono meno di stress psicologico e insoddisfazione lavorativa.

Ma come distinguere un capo un po’ irascibile da un vero e proprio bullo?

Quando si configura il mobbing? In quali casi si parla di mobbing verticale? Quali sono i soprusi messi in atto sul posto di lavoro? Cos’è rilevante ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro?

Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo.

Secondo il Tribunale Salerno sez. lav., 11/06/2020, n.725 : È necessaria la prova di una esplicita volontà del datore di lavoro (c.d. mobbing verticale) di emarginare il dipendente in vista di una sua espulsione dal contesto lavorativo o, comunque, di un intento persecutorio.

E’ notorio che l’elemento oggettivo della fattispecie del mobbing è integrato dai ripetuti soprusi che, se posti in essere dai superiori, danno luogo a comportamenti che possono anche essere formalmente legittimi ed assumono connotazione illecita allorquando aventi l’unico scopo di danneggiare il lavoratore nel suo ruolo e nella sua funzione lavorativa, così da determinare il suo isolamento (fisico, morale e psicologico), all’interno del contesto lavorativo.

Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva, qualificata danno da emarginazione lavorativa o mobbing, è rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell’ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell’ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza.(così anche il
T.A.R. Catanzaro, (Calabria) sez. I, 09/07/2019, n.1363)

Si tratta, in altre parole, di una successione di episodi traumatici correlati l’uno con l’altro ed aventi come deliberato scopo l’indebolimento delle resistenze psicologiche e la manipolazione del soggetto “mobbizzato”.

Il fenomeno in esame si caratterizza, sotto il profilo soggettivo, dal dolo del soggetto agente, da intendersi nell’accezione di volontà di nuocere o infastidire o comunque svilire in qualsiasi modo il proprio sottoposto o collega di lavoro.

In sostanza, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.(Tribunale Roma sez. lav., 11/04/2019, n.3673)

Mi preme , soprattutto configurare ,in questa sede , la fattispecie del Mobbing verticale nel pubblico impi

leggi anche :https://www.corrierepl.it/2021/07/25/il-miglior-modo-di-contrastare-i-fenomeni-di-violenza-in-ambito-lavorativo-e-diffonderne-la-conoscenza/

Il mobbing verticale, nel rapporto di pubblico impiego, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.

Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, che sono a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico o prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) l’evento lesivo della salute psico — fisica del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psico — fisica del lavoratore; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio.

La sussistenza di condotte mobizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito, che è imprescindibile ai fini della concretizzazione del mobbing.
(T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. III, 02/02/2018, n.310)

Per quanto attiene al Danno sofferto dal dipendente è bene sottolineare che :

In linea con la giurisprudenza formatasi in materia, gli elementi costitutivi del « mobbing verticale » risultano essere i seguenti: una serie prolungata di atti provenienti dal datore di lavoro o comunque emergenti in ambito lavorativo, aventi le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione nei confronti del dipendente; il dolo specifico, quale volontà di nuocere, infastidire, o svilire il lavoratore, ai fini dell’allontanamento o comunque dell’isolamento del « mobbizzato » ed infine la riconducibilità a tali condotte dell’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente.
(T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. I, 22/04/2016, n.776)

Ebbene come difendersi?

Una ragione per cui i capi che si comportano male riescono a farla franca nonostante i loro comportamenti inappropriati, è perché non c’è nessuna traccia di prove. Le parole dette possono essere sempre rinnegate, e se si arriva alla situazione in cui la tua parola è contro quella del capo, vince lui. Ma se hai una documentazione che illustra chiaramente le sue intenzioni, allora il tuo capo deve prendersi le sue responsabilità, ed è tenuto a risponderne.

La prima cosa da fare :

-Ottenere una lista di obiettivi da raggiungere appena vieni assunto, compresi gli strumenti di misurazione dei risultati previsti.

-Ottenere una copia di tutti i regolamenti aziendali pertinenti al tuo impiego, incluso un codice di condotta. Questi documenti di solito ti vengono dati quando vieni assunto, altrimenti richiedili. Se fai parte di un sindacato, chiedi al tuo rappresentante di farsi una copia del tuo contratto.

-Tenere una copia di ogni documento che il tuo datore di lavoro ti chiede di firmare.

-Non firmare nessun documento che contenga dichiarazioni con cui non sei d’accordo.

– Mettere per iscritto tutte le istruzioni che il tuo capo ti da, che differiscono dai compiti descritti nelle tue mansioni e obiettivi da raggiungere. Se il capo si rifiuta di sottoscriverle, mandagli un report in cui includi le nuove istruzioni, e spiega in che modo queste vanno in conflitto con le tue mansioni. Assicurati inoltre che quello che hai capito, rifletta accuratamente le nuove istruzioni ricevute.

-Scrivere i dettagli di tutte le discussioni che hai avuto con il tuo capo, se sospetti che qualcosa sia inappropriata. Condividi questi appunti con lui in un report, chiedendogli se hai capito tutto correttamente. Assicurati di includere data e ora della conversazione.

-Mettere la data, e firma tutte le relazioni scritte al tuo capo.

Inoltre non dimenticarsi di Chiedere aiuto dall’interno:

Se il tuo capo continua a darti istruzioni inappropriate, metti in copia il responsabile delle Risorse Umane nelle prossime comunicazione che invii, in cui chiedi al tuo capo dei chiarimenti.

Di Chiedere una prova:

Se sei stato accusato di aver fatto qualcosa di inappropriato, chiedi di avere una prova e non discutere della questione fino a quando non ti verrà fornita. Di’ soltanto che l’accusa è infondata e che non c’è niente su cui discutere, fino a quando non ci sarà una prova tangibile.

Di Contattare il sindacato:

Se vieni accusato di aver fatto qualcosa di inappropriato e fai parte di un sindacato, contatta immediatamente un loro rappresentante, e chiedi che in futuro partecipi anche lui alle riunioni in merito all’accusa. Se ti occupi di gestione e non hai un sindacato, continua a negare l’accusa, e rifiuta di discutere la situazione fino a quando una prova tangibile non verrà fornita.

Di Evitare che il tuo capo produca una falsa prova scritta pur di accusarti:

Se c’è una prova scritta dell’accusa, non firmarla per nessuna ragione. Se vieni costretto a farlo, scrivi sul documento che non sei d’accordo con il suo contenuto, ma non firmarlo!

Di Cercare aiuto dalla Commissione per le Pari Opportunità: Se pensi di subire una discriminazione, contatta la Commissione nella tua zona.

Di Conservare tutti i documenti scritti in un posto sicuro, lontano dalla tua postazione di lavoro.

Non ci fermeremo finché giustizia non sarà stata fatta,  per la difesa di coloro che soffrono per causa di incapacità altrui!

Antonio Peragine

direttore@corriernazionale.net

Redazione Corriere Nazionale

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