Alice, al secolo Carla Bissi, calca i primi passi nel mondo dello spettacolo ad appena 11 anni al Festival internazionale dei ragazzi

Cinema

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 Oggi è una delle migliori cantautrici italiane oltre ad essere compositrice e pianista. Assieme a Giuni Russo e a Milva è stata una delle interpreti delle canzoni di Battiato.

Al celebre maestro chiesero se Milva era la pantera di Goro, la Zanicchi l’aquila di Ligonchio, Mina la tigre di Cremona come avrebbe potuto definire Alice e lui rispose che lei era l’anguilla di Forlì. Alice è sempre stata elegante, raffinata, accattivante, seducente ma con gusto, intellettuale ma senza cadere negli intellettualismi, mai sopra le righe, ponderata ed equilibrata nelle interviste.

Come Battiato ha guardato anche lei al misticismo, ai maestri sufi, all’esoterismo, a Gurdjieff, ad Auribindo. Ha iniziato nei primi anni settanta con canzoni melodiche e sentimentali. La prima partecipazione al festival di Sanremo è del 1972. Si fece poi chiamare Alice Visconti.

Ha iniziato quindi la collaborazione con Battiato. Ha vinto il festival di Sanremo con “Per Elisa”, che l’ha fatta conoscere al grande pubblico. Io come altri ho sempre interpretato questa canzone come la storia di una dipendenza dalla droga. Alice ha sempre risposto che non era così. In fondo la dipendenza emotiva e sentimentale a volte può essere altrettanto nociva.

Negli anni novanta Alice ha abbandonato per un periodo la musica leggera facendo ricerca sul sacro della musica, cantando in tante chiese italiane: il risultato è stato l’album “God is my deejay”. Trovo particolarmente poetiche alcune sue canzoni come “Azimut”, “A cosa pensano”, “Visioni”, “Viali di solitudine”, “Messaggio”, “Il vento caldo dell’estate”. Nel 2016 Alice ha duettato in concerto con Franco Battiato. Ad ogni modo non posso essere obiettivo. Ho sempre stimato Alice.

Quando ero bambino ero un ammiratore, ne ero letteralmente cotto. Erano i miei primi turbamenti e lei era bella, longilinea, affascinante. Sapeva irretire ed ammaliare con garbo. Mi sembrava uno splendido cerbiatto. Ma c’era molto di più oltre all’aspetto estetico, al cosiddetto look.

Ero solo un bambino e non potevo capire la portata e la profondità dei suoi testi, ma ero comunque incuriosito dalle sue parole. Poi la sua voce mi incantava, mi portava lontano, mi faceva sognare. La trovavo altamente erotica, sensuale, ma non solo.

Ero a Rosignano Solvay d’estate e ad un minigolf c’erano un bar, una sala giochi ed un juke box. Mi ricordo che chiedevo i soldi a mio padre e  mettevo “Messaggio”, rimanendo suggestionato da musica e parole.

Mi mettevo a sedere su una panca di legno e non mi curavo di niente, per quei pochi minuti della canzone mi ritiravo in un mondo tutto mio, incurante delle effusioni e degli spargimenti di amore in pubblico delle coppiette adolescenti di turno.

Quando guardavo Alice alla televisione mi colpiva tutto di lei. Mi colpivano il suo lato estetico, la sua intonazione, le sue pose.

Tuttavia ero un bambino e alcune sue frasi mi stupivano, mi incuriosivano, suscitavano in me alcuni interrogativi esistenziali e metafisici.

I suoi testi erano essenziali ma allo stesso tempo profondi, volevano dire anche altro, spingevano alla riflessione, erano incisivi, rimandavano ad una dimensione altra, quella delle essenze e dell’essere. Dietro a quei testi c’era un lavoro costante ed incessante, c’era una ricerca di cultura e di spiritualità.

Alice come Battiato sono sempre stati aperti culturalmente, attingevano da molte fonti.

Non riuscivo ancora a cogliere alcune citazioni, alcuni rimandi. Non sapevo che la  Prospettiva Nevskij era una strada di San Pietroburgo, che Tozeur era una cittadina tunisina, che la “La voce interiore” era un romanzo di Moravia.

Non sapevo cosa si celasse dietro alla frase latina di “Carthago delenda est” e nemmeno che “l’era del cinghiale bianco” fosse un riferimento a Guenon. Non riuscivo ad afferrare Alice completamente, ma forse nemmeno oggi. Forse attualmente resta sempre una bella anguilla, che sembra a portata di mano e ci sguscia irreprensibile come la celebre anguilla di Montale.

Per chi volesse gustarsi le sue interpretazioni vi consiglio di comprare “The platinum collection” di Alice, che comprende 54 canzoni a soli 23 euro. In definitiva le interpreti e le autrici di oggi -lo scrivo da profano della musica- mi sembrano assomigliarsi tutte.

La musica leggera nostrana è piena non dico di duplicati o sembianti ma di artisti somiglianti tra loro, molto omologati. Alice invece ha avuto il coraggio, il pregio, la dote di rivendicare la sua particolarità.

Ha saputo dire di no quando tutto avrebbe potuto essere facile e la popolarità nazionalpopolare avrebbe potuto arriderle. Ha rifiutato anche di presentarsi al pubblico americano.

Non era ciò che cercava. La sua ricerca interiore e la sua voglia di approfondire valevano molto di più della fama e della moneta sonante.

Alice è sempre stata una signora colta e discreta, che non ha mai avuto l’ossessione di apparire a tutti i costi. Ha sempre saputo dosare le forze e non ha mai cercato la visibilità facile.

Alice è stata un artista che ha saputo anche dire no alle sirene del successo e del commerciale, quando molti invece sono pronti ad immolarsi per essi. Non è una presenzialista come tante. Sa anche quando mettersi in disparte. È perfettamente cosciente che un artista deve  prendersi dei periodi di riflessione per non ripetersi, per non deludere, per rinnovarsi.

A suo modo Alice si è saputa ritagliare uno spazio tutto suo nel mondo del pop italiano. Le scelte artistiche di Carla Bissi forse stanno proprio a testimoniare che la vita non è solo fatta di parvenza e materialismo, che c’è molto di più e che probabilmente non siamo solo di passaggio.

Davide Morelli

foto: modna50.blogspot

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