Riappare in un video Al-Zawahiri, ‘cervello’ di Al Qaeda, nel ventennale dell’11 Settembre

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Braccio destro di Osama Bin Laden, fu dato per morto nel novembre 2020. Contribuì a fondare il gruppo militante della Jihad egiziana e ideò gli attacchi contro gli Usa

 

© SITE Intelligence Group / AFP – Ayman al-Zawahiri

Nel ventesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre, l’organizzazione terroristica al-Qaeda ha pubblicato un nuovo video di 60 minuti con il leader, Ayman Zawahiri. Nel filmato tra l’altro si ricorda che “Gerusalemme non sarà giudaizzata“.

Lo slogan era stato lanciato dopo la decisione dell’ex presidente Usa, Donald Trump di spostare l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme. 

Il settantenne medico egiziano è il terrorista che prese il posto di Osama bin Laden quando le forze speciali statunitensi uccisero il leader di al Qaeda nel raid del 2011 ad Abbotabad, in Pakistan.

Nel novembre 2020 è stato dato però per morto: lo scrisse Arab News Pakistan, una morte “avvenuta per cause naturali, all’età di 69 anni, in Afghanistan”. Ma la sua sorte rimane avvolta nel mistero: potrebbe nascondersi in Afghanistan o in Pakistan e potrebbe ancora essere vivo.

E’ utile dunque leggere l’analisi che, su Twitter, fa Rita Katz, direttore di Site Intelligence Group, l’organizzazione non governativa americana che tiene traccia delle attività online di organizzazioni suprematiste e jihadiste.

al-zawahiri chirurgo cervello di al qaeda

“Il video sembra offrire prova che non sia morto, perchè fa riferimento ad eventi successivi a dicembre, quando erano emerse voci sul suo decesso. Zawahiri fa riferimento a un raid a una base militare russa da parte di Hurras al-Deen, gruppo allineato con al-Qaeda, in Siria, un evento che sarebbe avvenuto il 1 gennaio: voci concrete sulla sua morte erano invece circolate a novembre”.

E ancora: “In ogni caso,  Zawahiri non fa riferimento alla vittoria dei talebani in Afghanistan e parlando della ‘uscita degli Usa’ dal Paese sembra alludere a un momento antecedente all’uscita delle truppe statunitensi, addirittura prima del 20 febbraio, quando è stato siglato l’accordo di Doha”. Insomma,  conclude Rita Katz, Zawahiri potrebbe davvero essere morto, “e se così fosse il decesso potrebbe essere avvenuto in un qualche momento prima o dopo il gennaio scorso”.

 Medico chirurgo oculista, Ayman al-Zawahiri contribuì a fondare il gruppo militante della Jihad islamica egiziana e ideò gli attacchi dell’11 settembre contro gli Stati Uniti; finì per sostituire Bin Laden alla guida di Al Qaeda, dopo l’uccisione di quest’ultimo nel maggio 2011.

All’epoca degli attentati di 20 anni fa, Al-Zawahiri era il numero due – dietro a Bin Laden – nella lista dei 22 “terroristi più ricercati” dal governo degli Stati Uniti e sulla sua testa pende ancora una taglia di 25 milioni di dollari. Secondo i rapporti, Zawahiri è stato visto l’ultima volta nella città afgana orientale di Khost nell’ottobre 2001, e da allora è rimasto nascosto sfuggendo sempre alla cattura.

E’ probabile abbia trovato rifugio nelle regioni montuose lungo il confine tra Afghanistan e Pakistan con l’aiuto di tribù locali solidali, sebbene Bin Laden sia stato rintracciato e ucciso in una zona residenziale della città pakistana di Abbottabad. Il 13 gennaio 2006 fu l’obiettivo di un attacco missilistico americano vicino al confine del Pakistan con l’Afghanistan. Morirono quattro membri di Al-Qaeda, ma Zawahiri si salvò.

Due settimane dopo apparve in un video in cui avvertiva che “nè Bush nè tutte le potenze della terra” avrebbero anticipato la sua morte – rispetto al destino – di un secondo. Zawahiri si è fatto sentire, di tanto in tanto con messaggi audio e a volte video – l’ultimo l’11 settembre dell’anno scorso – per incitare i suoi seguaci alla guerra contro l’Occidente. Ma negli anni, soprattutto con la proclamazione dello Stato islamico di Abu Bakr Al Baghdadi (anche lui ucciso in Siria) ha perso buona parte dell’autorevolezza di cui godeva quando ancora il suo volto era associato a quello di Bin Laden

Bin Laden e Zawahiri hanno formato il Fronte islamico mondiale per la Jihad contro ebrei e crociati nel 1998. L’obiettivo a lungo termine era di rovesciare i regimi musulmani come l’Arabia Saudita e l’Egitto e utilizzare l’Afghanistan, l’Iraq e la Somalia come campi di addestramento per i militanti islamisti.
Poco piu’ di un mese dopo l’uccisione di Bin Laden (avvenuta il 2 maggio 2011), Zawahiri rilasciò una dichiarazione sul web in cui avvertiva che Osama Bin Laden avrebbe continuato a “terrorizzare” gli Stati Uniti dall’oltretomba.

Origini illustri

Nato nella capitale egiziana, Il Cairo, il 19 giugno 1951, Zawahiri proviene da una rispettabile famiglia borghese di medici e studiosi. Suo nonno, Rabia al-Zawahiri, era il grande imam di al-Azhar, il centro della cultura islamica sunnita in Medio Oriente, mentre uno dei suoi zii era primo segretario generale della Lega araba. Zawahiri si impegna nella militanza islamista fin dall’adolescenza: a 15 anni viene arrestato perché membro della Fratellanza musulmana, la più antica e più grande organizzazione islamista dell’Egitto, ritenuta allora – come ora dall’amministrazione di Al-Sisi – fuorilegge.
La sua attività politica, tuttavia, non gli impedisce di studiare medicina all’Università del Cairo, dove si laurea nel 1974 e quattro anni dopo ottiene un master in chirurgia. Il padre Mohammed, morto nel 1995, era un professore di farmacologia.

Gioventù radicale

Zawahiri inizialmente porta avanti la tradizione di famiglia, aprendo una clinica medica in un sobborgo del Cairo, ma presto viene attratto da gruppi islamisti radicali che lavorano per il rovesciamento del governo egiziano. Si unisce alla Jihad islamica egiziana già nell’anno della sua fondazione, nel 1973. Nel 1981 viene arrestato insieme a centinaia di altri sospetti membri del gruppo dopo l’assassinio del presidente Anwar Sadat durante una parata militare al Cairo. 

Sadat aveva fatto infuriare gli attivisti islamisti firmando un accordo di pace con Israele e arrestando centinaia di oppositore in una campagna di repressione.
Durante il processo di massa, Zawahiri emerge come leader degli imputati. “Siamo musulmani che credono nella loro religione. Cerchiamo di stabilire uno Stato islamico e una società islamica”, sono alcune delle sue dichiarazioni alla corte.

Sebbene venga scagionato dal coinvolgimento nell’assassinio di Sadat, Zawahiri deve scontare tre anni per possesso illegale di armi. Secondo le testimonianze dei suoi compagni di prigionia, è stato regolarmente torturato e picchiato durante tutto il periodo di detenzione: un’esperienza che si dice lo abbia trasformato in un estremista fanatico e violento.

Rilasciato nel 1985, parte per l’Arabia Saudita. Poi va a Peshawar in Pakistan e successivamente nel vicino Afghanistan, dove durante l’occupazione sovietica fonda una fazione della Jihad islamica egiziana mentre lavora come medico. Sotto il suo comando, la Jihad islamica egiziana si macchia di una serie di attacchi ai ministri del governo egiziano, tra cui il premier Atif Sidqi. La campagna del gruppo per rovesciare il governo e creare uno Stato islamico nel Paese durante la meta’ degli anni ’90 portato alla morte di oltre 1.200 egiziani. Viene condannato a morte in contumacia.

Obiettivo occidente

Si ritiene che negli anni Novanta Zawahiri abbia viaggiato in tutto il mondo in cerca di rifugio e di finanziamenti. Negli anni successivi al ritiro sovietico dall’Afghanistan, ha vissuto in Bulgaria, Danimarca e Svizzera, e ha usato un passaporto falso per recarsi nei Balcani, in Austria, Yemen, Iraq, Iran e Filippine.
Nel dicembre 1996 avrebbe trascorso sei mesi in custodia russa dopo essere stato catturato in Cecenia senza visto. Secondo il racconto di al-Zawahiri, le autorità russe non riuscirono a far tradurre i testi in arabo trovati sul suo computer consentendogli di mantenere segreta la propria identità.

Nel ’97 al-Zawahiri si trasferisce nella città afghana di Jalalabad, dove risiedeva Osama Bin Laden. Un anno dopo, assieme ad altri gruppi, formano il Fronte islamico mondiale per la Jihad contro ebrei e crociati. La prima proclamazione del fronte è una fatwa che permette l’uccisione di civili statunitensi. Sei mesi dopo, arrivano i due attacchi simultanei alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania, uccidendo 223 persone. La sua storia diventa quella di Al Qaeda.

AGI

 

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