La felicità

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Per gli antichi era felice chi perseguiva la virtù. Oggi la felicità viene considerata niente altro che uno stato d’animo. Basta poco per essere felici. Si è felici quando non si prova dolore, non si ha alcun dispiacere, ma non è detto che si debba provare un grande piacere.

La felicità non è necessariamente uno stato di estasi o di godimento totale. È una beatitudine di un attimo. È un momento di pace interiore. È un istante di grazia. La noia è nemica della felicità. Tutto è abitudine e ci è familiare. Quindi per essere felici bisogna cercare di guardare con occhi nuovi le solite cose della nostra vita.  A mio modesto avviso la felicità non va confusa con la contentezza di chi ad esempio ha soddisfatto i suoi bisogni. La contentezza è un appagamento di tipo materiale a mio modesto avviso.

La felicità è per me un istante o poco più. È qualcosa di transitorio e passeggero. Non è una condizione duratura.  Epicuro nella sua lettera della felicità parlava di come avere una vita felice. A mio avviso si può avere al massimo una vita serena, ma la felicità è un picco difficilmente raggiungibile. Certamente si può essere felici con poco ed essere insoddisfatti, pur avendo molto.  Questo è uno dei paradossi della felicità.

Un altra cosa insolita è che la felicità altrui è spesso insopportabile. Al massimo si può solo godere della felicità dei propri cari. Ci sono alcuni che godono delle disgrazie altrui. Quindi anche ciò può essere causa di gioia per alcuni. Altra stranezza è che solo due tipi di persone, almeno secondo la saggezza orientale, possono essere felici spesso: gli sciocchi e i mistici. 

Spesso viene considerato felice chi è libero. Lo esprime magistralmente in una sua canzone Lucio Dalla: “Ah felicità, su quale treno della notte viaggerai…”. Nella dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti la ricerca della felicità è un diritto inalienabile.

Nei bugiardini degli antidepressivi c’è scritto che possono causare euforia. Può accadere ad esempio quando uno psicologo sbaglia diagnosi e scambia un maniaco-depressivo o un ciclotimico per un depresso. Quindi la felicità indotta ed artificiale viene chiamata euforia?

Oggi più che mai ci sentiamo in obbligo di essere felici. Ma le cause di insoddisfazione possono essere molteplici. Freud riteneva ad esempio che non si potesse ridere da soli. Il riso anche secondo Bergson è contagioso. Eppure ritengo che si possa anche essere soli e felici perché come in uno Short di Auden chi è solo ad una certa ora, una volta chiusa la porta di casa, non ha nessun ficcanaso che lo importuna.

Non è necessariamente detto che essere ricchi significhi essere felici. Come scrisse Ezra Pound i ricchi hanno maggiordomi e non amici.

Davide Morelli

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