Gian Micalessin
Per fermarla le hanno assassinato un fratello, ma Bibi Gulali Mohammad non ha mai messo di battersi. Figlia di un mullah e originaria della stessa arretrata provincia di Uruzgan in cui nacque il mullah Omar questa giovane 27enne è la più giovane deputata dell’Afghanistan.
E nonostante le minacce di morte ha deciso di non lasciare il paese. “Forse mi uccideranno – ci ha detto in questa intervista – ma resto per difendere i diritti delle donne”.
KANDAHAR – “I talebani* hanno ucciso mio fratello per causa mia”. La voce squillante e in un buon inglese trapela – come per un misterioso sortilegio – dalle pieghe del burqa azzurro avvolto intorno a quella forma di donna sconosciuta e al bimbo di pochi mesi.
Siamo nel cimitero di Kandahar. Tutt’attorno è un crepuscolo violaceo attraversato dalla voce lamentosa del muezzin e da un pulviscolo sottile sollevato da un vento caldo e appiccicoso. Donne invisibili e uomini barbuti, in turbante, sandali e camicione, sostano accoccolati tra tumuli di tombe ricoperte di sassi e sormontate da drappi variopinti gonfiati dalla brezza afosa. Frotte di bimbi randagi si rincorrono scalciando e inciampando tra lapidi e sepolture.
Lei, il fantasma sconosciuto, fino ad un attimo fa, era solo una forma indefinita, ripiegata ai bordi di una delle tante tombe. Ora è ad un passo da noi indifferente ad ogni regola di distanziamento imposta dall’ordine talebano. Ripete quella frase “I talebani hanno ucciso mio fratello per causa mia”. Sgraniamo gli occhi, farfugliamo “perché” meravigliati. Il burqa azzurro porta un dito alla retina di tessuto che copre naso e occhi “No.. non qui… non adesso, c’è troppa gente… questo è il mio telefono sentiamoci, vi racconterò tutto.”
Dodici ore dopo quella voce ha il volto di Bibi Gulali Mohammed. Ha 27 anni, è figlia di un mullah ed è originaria di quell’Uruzgan dove nacque anche il Mullah Omar. Eppure – nonostante la non facile origine – nel 2018 è stata eletta al Parlamento, diventando la più giovane deputata d’Afghanistan.
— Ieri al cimitero ha ripetuto più volte “mio fratello è stato ucciso a causa mia”. Che significa?
— Significa che l’hanno ammazzato per colpire me. I talebani l’hanno assassinato il 27 gennaio, a Kandahar. Aveva solo 21 anni ed era sposato da poco. Sua moglie era incinta e quel bimbo che ieri portavo in braccio era suo figlio. Adesso ha pochi mesi, ma ogni giorno mentre lo guardiamo crescere ci ricorda suo padre morto a causa mia. È stata dura, ma se la pace tornasse veramente sarei persino pronta a perdonarli.
— Cosa intende dire?
— Voglio dire che se i talebani rispettassero la promessa di riportare la pace, concedendo alle donne anche solo un minimo di diritti, sarei pronta a perdonarli per il bene del paese.
— Perché le hanno ucciso un fratello?
— Per punirmi. Oltre ad essere un membro del Parlamento ed essermi battuta per le donne afghane sono figlia di un mullah e arrivo dalla provincia dell’Uruzgan. È una delle più arretrate del paese, la stessa che ha dato i natali al Mullah Omar, il fondatore del movimento talebano leader del primo emirato.
I primi a cercare di fermarmi quando mi sono candidata sono stati alcuni parenti. Erano molto vicini ai talebani e per loro le mie aspirazioni erano semplicemente inconcepibili. Una donna dal loro punto di vista deve restar segregata sotto il velo. Me lo dicevano loro e me l’hanno ripetuto i talebani prima e dopo aver assassinato mio fratello. Per loro dovevo restare a casa e smetterla di fare politica.
— E adesso?
— Nulla è cambiato. Ricevo continuamente minacce da numeri di telefono sconosciuti. Mi ricordano che hanno ammazzato mio fratello e mi dicono che la prossima volta toccherà a me. Ma io non mi fermo, non l’ho mai fatto. Non ho paura. So che un giorno potrei venire uccisa, ma fino a quando sarò viva lotterò per i miei diritti.
— Perché è venuta a Kandahar? Non è pericoloso?
— Mia madre voleva vedere la tomba di suo figlio. Siamo partite in macchina nascoste sotto il burqa, ma tornerò a Kabul per capire che decisioni prenderanno i talebani nei confronti delle donne.
— Ma in famiglia chi l’appoggia?
— Mio padre era un famoso mullah, e finché è stato vivo non ha mai fatto nulla per ostacolarmi. Mia madre è molto più coraggiosa di me. È sempre stata al mio fianco, anche quando i parenti la criticavano perché mi faceva studiare. Diceva sempre “non mi interessa quello che dicono. Un giorno capiranno che ero nel giusto”. Adesso ha paura di perdermi e cerca di convincermi a lasciare il paese. “Se ti uccidono – mi ripete – non sopravviverò.
— Da deputata poteva venir evacuata, perché non l’ha fatto?
— Perché devo continuare a battermi per i diritti delle donne. I talebani hanno promesso che ci rispetteranno. Ora voglio vedere se lo faranno veramente. Se manterranno la promessa continuerò a vivere in questo paese. Se non lo faranno e torneranno a vietarci studio e lavoro sarò qua a ricordarglielo.
— I talebani sono cambiati?
— Negli ultimi giorni ho visitato diverse province e non ho notato alcun cambiamento. Sono diversi i vertici, i leader che hanno viaggiato e conosciuto altri paesi. A Kabul, rispetto al primo emirato di 20 anni fa, si nota qualche miglioramento. Possiamo camminare per strada senza coprirci completamente il volto, ma nel resto del paese i talebani sono sempre gli stessi. Noi donne vogliamo diventare parte attiva della società. Questo sarebbe il vero cambiamento.
— Di certo i talebani non ci concederanno mai i diritti conquistati in questi anni. Perderemo la gran parte di quanto ottenuto nell’ultimo ventennio, ma mi accontenterei che ci lascino lavorare e studiare. I talebani dicono che dobbiamo portare il velo. Lo abbiamo fatto prima e lo faremo anche adesso, ma loro in cambio devono rispettare i nostri diritti.
— Cosa può fare il mondo libero?
— Non deve abbandonarci, deve pretendere dai talebani il rispetto dei diritti delle donne. A differenza di me la maggior parte delle altre donne afghane non ha la possibilità di far sentire la propria voce. Dovete aiutarci, siete la nostra unica speranza.
*Organizzazione terroristica estremista illegale in Russia ed altri stati.
L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.