Taranto – Stupenda la Dafne che corre di Ilaria Carlucci in ArchiTa

Puglia

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La prima serata del programma ArchiTa ha fatto il pieno di pubblico nel chiostro del Museo Diocesano.

Belle le rappresentazioni di Antigone o l’Alba dei diritti e Kore, il mito di Persefone e Demetra e il cambio delle stagioni. Questi due momenti teatrali prodotti dal Teatro delle Forche di Massafra.

 

 

Fantastica l’attrice Ilaria Carlucci che, in un monologo, ha recitato l’episodio di Dafne, raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi,  creando pathos, magia, in questo cupo bosco popolato da ninfe e divinità.

L’artista ha coniugato espressività del corpo, della voce, per dare vita a Dafne, alla sorella, al dio del fiume, suo padre, all’eterno fanciullo Cupido Dio dell’amore e infine al biondo Dio del Sole Apollo. Il testo, scritto dalla stessa attrice, con la regia di Alberto Cacopardi e la consulenza artistica dell’attore Tonio De Nitto si ispira al testo di Ovidio.  

In tale testo c’è il ruolo birichino di Cupido che colpisce il Dio con la freccia col piombo dell’amore e Dafne con quello dell’odio.

Questo spettacolo Corri Dafne è prodotto da Tessuto Corporeo, teatro di performance e da compagnia Factory Transadriatica di Lecce

 

Uno spettacolo iniziale che, portandoci nel mito di Apollo e Dafne, ci ha fatto ricordare il testo, richiamato da Treves nel suo libro di 60 anni fa sui Miti, che descrive la storia in modo diverso da Ovidio, più legato alla tradizione della mitologia ellenica. Che abbiamo trattato in un articolo anni fa.

Ve lo proponiamo per il gusto e il piacere della lettura

 La storia di Apollo e Dafne potrebbe essere simbolo femminile contro la violenza sulle donne per sfuggire all’uomo che le insegue perché vuole solo quello e non quello che fa ridere una ninfa libera di correre tra i rami del bosco.

   

“Vinto che ebbe il drago e stabilito il proprio oracolo di Delfo Apollo, ricordando il perfido consiglio di Telfusa, punì l’ingannatrice Pytho trasformandola in una roccia; quindi, per mondarsi dall’impurità contratta con l’uc­cisione del mostro, si ritirò nella valle di Tempi in Tessaglia, ai piedi dell’Olimpo, si deterse nelle acque del Peneo e cominciò la sua vita di esule.

    Errava un giorno lungo le rive del fiume, quando, tra sole e ombra, scorse una bionda e bella giovi­netta. Era Dafne la figlia di Peneo, divinità fluviale del luogo. La vide Apollo e si accese d’amore per lei e fece per avvicinarla. Ma Dafne era timida e ritrosa, e fuggì via. Il Dio la chiamò.

    «Dafne! Dafne! … Perché fuggi? … Non temere! Sono Apollo! … Ti amo!»

La fanciulla continuava a fuggire. Correva via come una giovane dama, balzando di cespuglio in cespuglio, guizzando tra albero e albero. Una paura folle la incalzava.

«Fermati, Dafne! … Fermati! … Perché mi fuggi?… Sono Apollo! Ti amo!»

    Il Dio accelerava la corsa; le era ormai vicino, sempre più vicino; stava per raggiungerla, e a lei la lena mancava e la paura cresceva.

 «Terra madre, aiutami!» Implorò.

   Ed ecco sentì che la terra la tratteneva, la radicava a sé, l’avvolgeva tutta in una carezza materna. Il ritmo affannoso del cuore ora si placava e il sangue, ardente per la corsa, diveniva fluido e fresco.

          «Dafne!»

     Con un ultimo slancio, con un grido di vittoria, il Dio le fu accanto e tese le braccia e le mani e le mani divine urtarono una scabra corteccia d’albero. Dafne in sé stessa ora rideva sicura. Una dura scorza ormai l’inguainava; le sue braccia levate e le sue mani aperte nell’ultima invocazione di aiuto e le sue chiome agitate nella corsa erano diventati rami e ramicelli e si riempivano di verdi foglie lucenti: un alloro!

Apollo guardava smarrito, deluso, triste. Con un sospiro staccò una fronda dall’albero e se ne cinse le tempie.

Come era giovine e biondo, come era bello e triste quel Dio!

E la risata di Dafne, che può essere eretta a simbolo di tutte le donne che sfuggono alla violenza – che or ora scuoteva le fronde in un lieto fruscio, “non fu più che un soave mormorio di foglie nel sospiro del vento“.

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