Glasgow per il clima è forse l’ultima spiaggia

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Le speranze del Mondo nelle scelte della Conferenza sul clima, che si apre oggi a Glasgow. Sono 26 anni che si svolge questo rito, sedici dalla ratifica del Protocollo di Kyoto, 29 dalla Conferenza di Rio, 6 dall’Accordo (in verità accordino) di Parigi, 5 Rapporti quinquennali del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC). Di sostanziale, in termini di riduzione dei gas serra e, in particolare di diossido di carbonio e di metano non si registra nulla mente il sistema energetico mondiale è sostanzialmente fondato sulle fonti fossili.

Nel 2019 si sono consumati 9 miliardi di tonnellate di carbone, 5 di petrolio e 3 di gas. Le emissioni connesse di CO2 ammontano, a 34 miliardi di tonnellate mente diventano 54 miliardi di tonnellate se consideriamo tutti i gas serra espressi in unità equivalenti di CO2.

L’Unione europea è leader della lotta ai cambiamenti climatici, ma le sue emissioni rappresentano poco più dell’8% delle emissioni globali.

La concentrazione di anidride carbonica (CO 2) nell’atmosfera è aumentata da circa 277 parti per milione (ppm) nel 1750 l’inizio dell’era industriale, a 415 ppm il 19 maggio del 2019.

La vera azione di tutela climatica deve essere fatta dalla Cina, le cui emissioni sono pari al 28% delle emissioni globali ovvero, a quelle sommate di India, Europa e Stati Uniti.

La grande preoccupazione, e questo è uno dei punti nodali di Glasgow è una Cina che nel Piano Quinquennale approvato quest’anno, l’uso del carbone è previsto in aumento con valore massimo da raggiungere nel 2030 e diversamente da tutti gli altri Stati sviluppati, la neutralità carbonica la raggiunge nel 2060 ovvero 10 anni dopo tutti gli altri.

La gran parte dei paesi europei eliminerà l’uso del carbone nel 2025. Una Cina che, ha detto il suo leader nel dopo Covid registrerà l’ascesa dell’Oriente e il declino dell’Occidente. Una Cina che ritiene, fondatamente bisogna riconoscerlo, che il problema emissioni è stato creato prevalentemente dall’Occidente e su di esso devono gravare le responsabilità.

Il punto è che gli effetti sono globali e non mi stancherò mai di richiamare l’esistenza di un budget del carbonio, denunciato nel rapporto speciale su richiesta ONU del budget del carbonio che ai livelli attuali di consumo delle fonti fossili ci concede un tempo massimo di azione di 15/16 anni se non vogliamo incrementi medi di temperatura globale superiore, a un grado e mezzo centigrado.

Oltre al problema delle emissioni cinesi ci sono anche inadempienze rispetto agli impegni volontari assunti a Parigi, per limitare il riscaldamento. La verifica è stata fatta dall’UNEP un’organizzazione internazionale dell’ONU per l’ambiente.

Su 192 paesi, gli impegni assunti ridurrebbero di poco meno dell’8% le emissioni in luogo del meno 30% assunto a Parigi. Aggiungo le fonti fossili svolgono il ruolo primario, ma una componente importante è rappresentata anche dal cambiamento di uso del suolo e dalla deforestazione. Una partita di cemento che annulla la funzione del suolo come serbatoio di carbonio è data dalle famose (per le lobby del cemento, dell’acciaio e i mediatori politici) grandi opere.

Fiore all’occhiello di tutti i governi degli ultimi 30 anni in Italia. Scommetto che per evitare conflitti a Glasgow la strategia sarà quella degli adattamenti ai cambiamenti climatici. IPCC nell’ultimo Rapporto ci ha comunicato, che alcuni cambiamenti sono irreversibili. L’Italia non ha strumenti per far fronte ai cambiamenti irreversibili. Abbiamo un piano di adattamento italiano al cambiamento climatico redatto dal ministero dell’ambiente, dal 2017, rivisto nel 2018 è stato ma in attesa di approvazione. Manca la fase operativa, ci sono città nel mondo che ci lavorano da molto tempo.

Draghi e Cingolani invece di straparlare di cemento legato alle grandi opere, in un paese che all’80% si fonda energeticamente sulle fonti fossili parlassero di piani di adattamento senza allo stesso tempo rincorrere la patacca del nucleare.

Glasgow secondo la gran parte degli scienziati cimatici è forse l’ultima spiaggia.

Erasmo Venosi

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